L’idea d’introdurre un’eurotassa contiene un equivoco, un’opportunità e una trappola. L’equivoco è quello di far credere che l’Unione europea, fin qui, abbia funzionato e funzioni senza i denari dei contribuenti, che, invece, affluiscono copiosi. Solo che sono mediati dai rispettivi governi, impegnati a pagare in ragione del prodotto interno lordo del loro Paese e di quanto questo pesa sul totale europeo. Noi italiani, ad esempio, contribuiamo per il 18%. E sono, naturalmente, soldi dei contribuenti.
L’opportunità positiva c’è, se si sono, finalmente, capite due cose: a. i soldi non devono essere inghiottiti da un gigante burocratico lontanissimo dalla vita degli europei e incline a occuparsi anche di galattiche bischerate, ma essere indirizzati agli investimenti, in tal senso rendicontati, misurandone l’efficacia; b. un’autorità comune deve comunemente risponderne, così creando il nucleo di quell’integrazione fiscale che arriva in ritardo rispetto alla moneta unica. E’ significativo che l’idea dell’eurotassa nasca all’incrocio fra il piano Juncker (che punta agli investimenti, ma è scarico di risorse) e la voglia dei tedeschi, incarnata dal loro ministro dell’economia, Schauble, di portare sul tavolo politico quel che, da un paio d’anni, è trattato sul tavolo della Banca centrale europea.
Sono i successi di Mario Draghi, l’avere arginato le posizioni della Bundesbank, l’avere aggirato il divieto di stampare moneta e, in definitiva, avere sottratto l’euro al patibolo dove già aveva ficcato la testa (che non aveva), a propiziare questa novità. Che ora, però, pone un problema ai francesi. Già, perché i tanti che vanno in giro lamentando l’assenza d’integrazione politica, sicché la moneta di ritrova senza statualità alle spalle, e gemono con lo sguardo rivolto ai tedeschi, hanno dimenticato che il crepaccio in cui quell’integrazione s’inabissò lo scavarono i francesi, silurando il testo di quella Convenzione europea che pure era stata diretta da un loro ex presidente della Repubblica.
La trappola, però, è micidiale: identificare l’idea d’Europa con lo spiedo delle tasse. Coltivare la perversione esattoriale, su scala continentale. Trappola resa ancor più insidiosa dal non volere riconoscere l’ovvio: fiscalità comune significa politica di trasferimento delle risorse, perché se ognuno poi si tiene il proprio trattasi di oziosa presa in giro. Allora sarà bene mettere in chiaro una cosa, affinché la trappola non inghiotta l’opportunità si parta chiarendo l’equivoco: quel che si paga direttamente, per finanziare una politica d’investimenti, va sottratto e non sommato a quel che si paga indirettamente. Altrimenti è solo un aumento di tassazione senza compensazione di rappresentanza, ovvero un aggravarsi della cessione asimmetrica di sovranità, capace, da sola, di schiantare ogni possibile futuro unitario.
So bene che il suono “tassa” è repellente. Che “eurotassa”, in Italia, suona anche peggio, quasi euroscassa, perché abbiamo già dato. E che mettere di Mezzo il senatore Monti Mario è la via certa per conquistarsi l’antipatia anche di quelli che l’ebbero in simpatia. Ma guardando alla sostanza vedo che c’è del buono e c’è del marcio, non trovando alcuna ragione per favorire i campioni del secondo, privando di ragionevolezza i fautori del primo. Questo passaggio potrà essere ricordato come un’occasione persa, come una coazione a commettere sempre gli stessi errori. O come un punto di svolta. Non vedo perché non battersi per la seconda cosa.
Pubblicato da Libero