Economia

Evasione e persecuzione

Evasione e persecuzione

Non avere ancora fatto la riforma fiscale è un guaio, ma continuare a parlare di lotta all’evasione solo sotto la forma della persecuzione è peggio. Gli italiani non sono stupidi, sanno benissimo di non doversi aspettare un’immediata e significativa riduzione del peso fiscale, ma neanche sono dei masochisti, quindi non accettano né che le cartelle esattoriali divengano esecutive (anche “solo” per il 50%, con breve ritardo dell’altra metà), né che per accedere al contenzioso si debba pagare un contributo unificato, vale a dire un’ulteriore tassa.

Non è vero, come afferma il governo, che negli anni duri della crisi nessun lavoratore è stato lasciato da solo. E’ vero che sono stati spesi dei soldi per finanziare la cassa integrazione e le imprese in difficoltà, che sono stati rafforzati gli ammortizzatori sociali, ma è anche vero che i giovani non protetti e i lavoratori autonomi sono stati lasciati in balia delle intemperie. Che, ora, si voglia descriverli come dei criminali, presentando loro il conto del far cassa pestando gli evasori, è troppo.

La paura è più che legittima, specie leggendo i dati diffusi dal ministero dell’economia ed elaborati da uno dei gruppi di studio che dovrebbero preparare la riforma fiscale. Dati che, è bene chiarirlo, non sono il frutto di una dettagliata conoscenza del mercato e delle pieghe ove si nasconde l’evasione, ma del confronto fra due macro aggregati: i dati sui redditi rilevati da Banca d’Italia e quelli dichiarati dai contribuenti. Che la conseguente fotografia sia piuttosto sfocata è dimostrato dal fatto che ben due categorie di cittadini, i lavoratori dipendenti e i pensionati, risulterebbero aver pagato più del dovuto. La gran parte dell’evasione, invece, si concentra (e ci voleva poco a saperlo, senza che si dovesse organizzare un gruppo di studio) in due categorie: i lavoratori autonomi e gli imprenditori, da una parte, e i rentier proprietari d’immobili, dall’altra. Ora che sappiamo quel che sapevamo, però, cambia poco.

Se non si vuole aizzare la guerra civile fra dipendenti e autonomi, con il risultato di far apparire virtuoso chi campa di spesa pubblica e vizioso chi produce ricchezza, occorre trovare il modo di dare nome e cognome agli evasori, non condannare le categorie. Io stesso sono un lavoratore autonomo, non ho alcuna protezione, non evado un solo euro e mi ritrovo un socio, lo Stato, che porta via ben più della metà di quanto guadagnato. Quando ho bisogno del socio, quando qualcuno non paga una fattura o non rispetta un contratto, quello mi fa marameo e mi rimanda a dei suoi dipendenti, i magistrati, che in quindici anni non sono riusciti a farmi avere quel che essi stessi sostengono mi sia dovuto. Nel frattempo ho pagato le tasse e l’avvocato. E quando il socio sostiene, apoditticamente, che gli devo degli altri soldi tocca a me pagare dei professionisti per difendermi e sostenere che non è vero. Ora mi dicono: quel che sostengo io, socio nullafacente, è sempre vero, quindi paghi subito, e se intendi protestare versi un ulteriore obolo (l’ipotesi del contributo unificato). Non sono certo da solo e non è difficile capire che ci s’arrabbi.

Riformando il fisco si dovrebbe lavorare sui virtuosi conflitti d’interesse: scaricando le spese sono incentivato a documentarle, quindi a chiedere fattura. Consumando, poi, pago comunque, ma non basta, come tanti ripetono a pappagallo, spostare la tassazione dalle persone alle cose, perché l’effetto recessivo sarebbe garantito (e non se ne sente il bisogno) ove non si premetta una riduzione delle aliquote Irpef.

In quanto alle rendite immobiliari l’introduzione della cedolare secca sugli affi è una buona cosa, ma non si dimentichi la necessità di riformare il catasto, i cui valori sono largamente irreali. Anche questo, però, si trasformerebbe in una patrimoniale recessiva se non anticipato da una diminuzione del prelievo fiscale percentuale.

L’evasione fiscale è una piaga. L’idea che si attesti al 13.5% è uno scandalo. Ma non è meno infetta l’idea di colpire alla cieca, approfittando della debolezza di cittadini e imprese davanti all’erario e ai suoi esattori. Un’unghia incarnita può fare molto male ed essere pericolosa, ma lo è anche la soluzione di chi propone di amputare il piede, magari tagliando quello sbagliato. Quindi, avrei un suggerimento: se si è capaci di fare la riforma fiscale bene, altrimenti, e nell’attesa, si eviti di diffondere notizie che oscillano fra il persecutorio e l’impotente.

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