I governi sono affamati di denaro, quindi guardano con cupidigia alle tasche dei cittadini. Bella novità, si dirà. Qualche cosa di diverso c’è: la crisi ha accresciuto i debiti degli Stati, creando l’urgenza di rimpinguare la cassa, al tempo stesso, però, aumentare le tasse è divenuta una bestemmia, anche perché già altissime, quindi si cercano strade alternative. E’ in quelle nuove contrade che s’incontrano i conti svizzeri e gli scudi fiscali, con il singolare ed istruttivo caso degli Agnelli (e non solo).
La Svizzera non è un paradiso fiscale, lì le tasse si pagano ed anche le banche sono molto costose. La Svizzera è un paradiso della riservatezza, che funziona diramandosi nei paradisi fiscali. Per intenderci: il cliente apre la sua posizione presso gli svizzeri, che per suo conto, e tramite le loro banche, investono utilizzando la bandiera degli statarelli che fanno pagare poche tasse. Gli svizzeri vendono segretezza, naturalmente indispensabile per evadere il fisco nei Paesi in cui i clienti hanno la cittadinanza. Per questo la moglie di Gianni Agnelli ci tiene a restare svizzera, anche se la casa, i domestici ed i cani se ne stanno in Italia, disvelando la possibile simulazione. Lo stesso Carlo De Benedetti, in precedenza beccato alla frontiera elvetica e multato per non aver dichiarato dei beni, dice di avere preso la cittadinanza in quell’ordinato e stabile Paese per la gratitudine che lo lega a chi diede rifugio alla sua famiglia, durante le persecuzioni razziali. Una gratitudine, evidentemente, maturata nel tempo e nella pensosa riflessione. Quel paradiso, però, non è stato violato da Obama, il cui governo si è fatto consegnare una lista di presunti evasori statunitensi, bensì da Bush, quando, dopo l’11 settembre 2001, fece capire che una cosa è la necessità di mettere i capitali dove restino liberi e profittevoli, oltre che riservati, altra è il favorire i traffici di quelli che avevano appena finito di abbattere le torri gemelle. Allora, perché se ne parla tanto oggi? Per la ragione detta all’inizio, quindi chiudo la digressione e torno al fisco.
Se uno dei cittadini americani, che la banca svizzera Ubs ha venduto al governo statunitense, impianta una causa succede il finimondo. Lo stesso governo svizzero, uscendo di corsa dal capitare di Ubs, dice che si è trattato di un’eccezione. Lo sanno gli svizzeri e lo sanno gli americani, ma ai primi serve il non essere messi al bando, ed ai secondi invogliare gli altri evasori a precipitarsi dal fisco. Della serie: vabbene, pago e piantiamola lì. Noi italiani lo abbiamo già fatto, con successo e fungendo da esempio, ed ora ci riproviamo, con un novello scudo. Anche da noi, del resto, fioriscono le liste degli evasori. Tanto che ci si potrebbe domandare: ma se è così facile scoprirli, perché non gli fate scucire il dovuto, senza condonargli un tallero? Perché non è facile affatto, dato che, ogni anno, a fronte dell’evasione scoperta, solo il 5% realmente paga qualche cosa. Quindi, meglio mettere paura, attendere i terrorizzati che si tengono le braghe e accogliere l’obolo in cambio del non disinteressato perdono.
Il guaio, davvero grosso, è che, a forza di procedere in questo modo, i contribuenti onesti s’arrabbiano e quelli disonesti aumentano. Torniamo agli Agnelli, che sono esemplari (in negativo). Il gran signore di Torino piaceva tantissimo a quanti lo scimmiottavano, specie a sinistra, ma ci è costato un occhio della testa. Per gli aiuti alla Fiat, certo, ma anche per la sua politica. Esempio: il punto unico di contingenza, che mise il turbo alla scala mobile ed all’inflazione. Lo firmò da presidente di Confindustria, con un raggiante Luciano Lama, sindacalista Cigl che, successivamente, si mostrò più ragionevole del padrone generoso, ma con i soldi degli altri. Ebbene, ora apprendiamo, non dai pettegolezzi, ma dagli eredi, che all’estero s’è accumulato un patrimonio immenso, incompatibile, per la dimensione, con qualche falsa fatturazione. Quella è roba strutturale, organizzata da chi gestiva una società quotata in Borsa, finanziata con i soldi di tutti. In che letto dormivano, le autorità di controllo? Un tale, pessimo, esempio non induce a pagare con gioia le tasse, come pretendeva Tommaso Padoa Schioppa, indimenticabile ministro dell’ultimo Prodi, tanto più che l’uomo con la cravatta sul maglione, l’orologio sul polsino, e non so che altro fuori posto, dava abbondanti lezioni di morale.
Sicché, seguendone le orme, in Italia chi può evade. E lo dimostrano, inequivocabilmente, i dati del fisco, secondo i quali siamo tutti dei morti di fame. Quelli che guadagnano un po’ di più (non essendo affatto nababbi) stanno sotto lo zero virgola. Sfuggono solo pensionati e lavoratori dipendenti, che si rifanno con i secondi lavori. Attenti, adesso, al paradosso finale, che poi è il vero problema politico: non potendo alzare le tasse si procede con trucchi vari, contrastando l’evasione, ma si finisce con l’aumentare la pressione fiscale complessiva nel momento in cui diminuisce il gettito. Detto in parole diverse: il crollo del prodotto interno fa scendere anche i quattrini che versiamo al fisco, ma, al tempo stesso, aumenta la quantità percentuale di ricchezza che gli italiani versano nelle casse dello Stato. Pur al netto di una maggioranza che le tasse avrebbe dovuto diminuirle, si tratta di un paradosso gravido di conseguenze politiche e sociali. Si dovrà farci i conti, senza sperare che parole mielose leniscano i dolori di chi s’è visto mettere in tasca mani vogliose.