Economia

Expomasochismo

Expomasochismo

Complici le inchieste giudiziarie, le polemiche iniziali sull’acquisto o l’affitto dei terreni, gli scontri fra Regione Lombardia e Comune di Milano (anche quando governati dalla stessa parte politica), nonché la rinnovata attenzione sullo stato dei lavori e i ritardi accumulati, sembra quasi che l’Expo sia una faccenda edilizia e infrastrutturale. E’ ovvio che i padiglioni devono essere costruiti e i trasporti funzionare, ma quello è il minimo. L’occasione, però, non dovrebbe essere per appaltatori e costruttori (e magistrati), ma per gli espositori e per la filiera alimentare italiana. Nonché per quella turistica. Materie su cui osservo un vuoto inquietante.

I recenti arresti cadono a fagiolo per confermare la più consolidata convinzione collettiva: dove ci sono appalti ci sono intrallazzi. Se è vero e a cosa si riferiscono lo sapremo, bene che vada, per l’Expo successivo, che si terrà a Dubai nel 2020. Si intitolerà “connecting minds”. Chissà se, per quell’epoca, riusciremo a connecting justice. Qui, comunque, la formula è semplice: le inchieste vadano avanti; i processi si facciano in tribunale e non al bar; prima della condanna definitiva siamo tutti innocenti; i tempi devono essere decenti; se ci sono colpevoli che scontino la pena. Amen. Tanto il processo è già aperto sui giornali; le inchieste dureranno a lungo e i processi a lunghissimo; la presunzione di colpevolezza impazza e i colpevoli, se ci sono, la sfangheranno.

Il clamore penale è un male ricorrente, ma il buio operativo uno spreco permanente. Esiste “Padiglione Italia”, che ospiterà i nostri espositori, ma, al momento, funziona come uno sportello dell’ufficio postale: ci si mette in coda, si prenota un posto e si paga per averlo. Metodo sbagliato, perché rischia di far accedere chi non ne ha bisogno (o chi viene precettato per versare l’obolo) e tenere fuori chi può trarne benefici. La nostra qualità alimentare, che è il tema dell’Expo, è celeberrima in tutto il mondo, ma la nostra filiera (che è tecnologia, non cucina) è affollata di soggetti medi e piccoli. Vizio e virtù del nostro mercato. Ai prezzi del padiglione è un miracolo se vanno a fare i visitatori, non gli espositori. Con il che perdiamo qualità nell’offrire e quattrini nel contrarre.

Per l’Expo di Shanghai, nel 2010, andammo a cercarci gli innovatori. Non chiedendo loro soldi, ma offrendo la possibilità, a loro spese per la parte del viaggio e della permanenza, si incontrare controparti cinesi, preventivamente informate e istruite. Fu un successo enorme, che si stabilizzò in “Italia degli innovatori”. Poi tutto fu distrutto, nel 2012, con mirabile lungimiranza. Chi sta facendo questo lavoro? Nessuno. Invece si dovrebbero cercare i pezzi pregiati della nostra filiera, anche se piccoli, e organizzare per loro incontri specifici, prima, durante e dopo l’Expo, non necessariamente in quella sede. Questa volta non devono andare neanche in Cina, ma dietro casa!

Così operando si coinvolgerebbero località diverse, perché un meeting (b2b) può essere organizzato sul lago di Como, un altro a Verona, un altro ancora a Napoli. Chi, arrivando dalla Corea o dal Brasile non vuole provare a fare affari e, al tempo stesso, passare due giorni in città che ha sognato per tutta la vita? Prima di tutto, però, si devono organizzare i nostri campioni. Selezionandoli e preparandoli. Il tempo è pochissimo, si dovrebbe essere già al lavoro, invece c’è solo un mezze maniche dietro lo sportello.

Ancora non è risolto il dramma dei visti. Sapete qual è la cosa più difficile, se un piccolo imprenditore italiano sta vendendo a pachistani o uzbechi? Farli entrare in Italia per visitare l’impianto. Le nostre strutture diplomatiche manco rispondono. Il sindaco di Lugano si sta leccando i baffi, perché offre visti facili in mezzo mondo: venite a Lugano, passate due giorni e poi andate a Milano, senza impazzire per avere i permessi. Ci stiamo sparando nei piedi.

La parte turistica deve andare in totale sinergia con gli eventi Expo, che devono essere il più possibile delocalizzati. Ma l’unica cosa che accade, fin qui, è che il prezzo degli alberghi milanesi sale. Per il resto: locande con siti sconnessi e dialettali, ristoranti dispersi, Pompei che è Pompei, i bronzi di Riace che dormono sdraiati. Un suicidio collettivo. Basta poco per accendere una miccia favolosa: coordinamento, siti multilingua, guide e assistenza telematiche, aiuto per entrare in questo bengodi degli affari.

La cosa più atroce sarebbe vedere gli odierni indagati divenire futuri assolti e gli odierni incapaci eternamente colpevoli, ma impuniti. Con i tedeschi che si fregano le mani, dato che la loro filiera alimentare è forte perché non sparpagliata e delocalizzeranno incontri da Milano alla Baviera. Che, viste dalla Cina, hanno la stessa distanza che fra Roma e Frascati.

Pubblicato da Libero

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