Avevo salutato positivamente la nascita della nuova De Tomaso, vedendovi le caratteristiche dell’indomita volontà imprenditoriale e il pregio dell’innovazione tecnologica. Ora è fallita e il suo artefice, Gian Mario Rossignolo, si trova agli arresti domiciliari, accusato di truffa e di avere intascato soldi che non gli spettavano. Provo a immaginare quel che gli passa per la testa, dopo avere perso almeno una decina di milioni suoi. Le faccene penali si svolgono su binari propri. La voglia di colpevolezza e il desiderio d’innocenza devono attendere. Qui sollevo tre questioni.
1. A prescindere da eventuali disonestà, De Tomaso è fallita. Rossignolo investì del suo (senza credito bancario) sentendosi chiamato a salvare le fabbriche Pininfarina e i posti di lavoro. Fu un errore. L’idea De Tomaso era bella, composta di marchio e tecnologia. Ma il peso del salvataggio l’ha affondata prima ancora di partire. Ci troveremo davanti ad altri casi simili, quindi si faccia tesoro della lezione.
2. I fondi pubblici per i corsi di formazione finiscono con l’essere sovvenzioni alle imprese, comprese quelle che non stanno a galla. Si deve imparare che quel modo di finanziare corrompe il mercato, dando l’illusione che possano tornare conti che, invece, sono irrimediabilmente squilibrati. I Rossignolo sostengono di avere agito onestamente, la procura di Torino suppone il contrario. Il risultato imprenditoriale non cambia.
3. Il fallimento di De Tomaso è stato dichiarato a Livorno e a Torino. Siccome non si può fallire due volte, ho l’impressione che stiamo assistendo all’ennesimo capitolo dei bisticci giudiziari. Un tema che rende inaffidabile il mercato italiano. Intanto, però, quel che era il valore originario e quel che resta un’opportunità, ha davanti due possibilità: a. prendere il volo e finire all’estero, approfittando del fallimento; b. essere seppellito. Migliore la prima ipotesi, naturalmente, ma si rammenti quel che provoca il volere caricare un’impresa di problemi “sociali” che le sono estranei. Il risultato finale è il più asociale possibile.
Quando il mercato e il diritto funzionano si ha chiaro che truffare o rubare è disonorevole, sicché si merita la galera, dopo la condanna, mentre fallire non è disonorevole, ma va messo nel conto di ogni iniziativa imprenditoriale (e umana in generale). I fallimenti sono sani, perché liberano il mercato. La disonestà è insana, come anche i procedimenti penali che si risolvono nell’accusa e si dissolvono nel giudizio. Auguro a Rossignolo di potere affrontare questo momento riuscendo a rendere un servizio al Paese. Come uomo, ora, non più come imprenditore.