La corsa di Antonio Fazio è finita, ed è finita nel peggiore dei modi. Ancora una volta, un male uccide un altro male. In queste ore Fazio commette ancora un errore, dimostrando di non avere capito quasi nulla di quel che è accaduto e di quel che accadrà.
In queste ore ripete di sentirsi sereno, di avere la coscienza a posto, di non aver violato la legge. Così procedendo consegna le chiavi della Banca d’Italia alla magistratura del pubblico ministero. Fazio, come tutti (accidenti, se ne sono accorti anche D’Alema e Violante, guarda un po’ i casi della vita), è un cittadino che ha il diritto di sentirsi ed essere considerato innocente, condizione, questa, neanche minimamente scalfita dall’avere ricevuto un avviso di garanzia, diritto che viene meno solo con condanne definitive. Aggiungo che Fazio, come altri, ha subito l’ennesima ed indecente campagna di stampa, con relativa pubblicazione degli atti giudiziari. Infamia cui mai ci abitueremo. Fazio non deve dimettersi per questi fatti, deve andarsene perché ha fallito, perché ha sbagliato.
Ha fallito come autorità di controllo, lasciando che ai risparmiatori venissero rifilati dei bidoni, favorendo le banche che, in quel modo, scaricavano sui clienti gli errori degli amministratori. Ha fallito come autorità di controllo anche mostrandosi incapace di leggere l’inattendibilità dei bilanci. Ha sbagliato come demiurgo del mondo bancario, scegliendo di opporsi a delle scalate estere utilizzando, per questo, soggetti e figuri con i quali mai e poi mai si sarebbe potuto fare del sistema creditizio italiano non dico un prototipo competitivo, ma anche solo guardabile. Fazio deve lasciare la Banca d’Italia perché non è stato un buon governatore. Questo, del resto, è chiaro da molto tempo, anche se la politica ha pensato, ancora una volta, d’esibirsi in furbizie e scarseggiare in responsabilità: a difendere il governatore sono stati, a turno, entrambe gli schieramenti, con alcuni soggetti che hanno anche esercitato un pendolarismo non proprio encomiabile.
E qui si aggiungano due considerazioni. La prima: il governatore rimosso per decreto legge è uno strappo istituzionale dolorosissimo, possibile solo in un clima di larga (anche se non unanime) condivisione parlamentare. Questa condizione non c’era, e nessuno ha le carte in regola per rimproverarlo ad altri. Tremonti ha condotto una lunga battaglia contro Fazio, ma non ricordo la solidarietà dell’opposizione. La seconda: il Corriere della Sera si accorge, ora, che il deragliamento è cominciato da tempo, almeno da quando la Banca d’Italia giocò un ruolo nell’opa che portò Telecom Italia nelle mani di Colaninno. Benvenuti fra quanti se ne sono accorti. Noi, da queste pagine, lo diciamo da molto tempo, e da molto tempo abbiamo raccontato storie di Telecom Italia che la stampa italiana, Corriere della Sera compreso, ancora occulta. Il moralismo senza morale è una delle cose più ripugnanti.
Fazio sbaglia ancora, sembra incapace di capire che se avesse lasciato per tempo avrebbe anche potuto rivendicare alcune delle cose buone che ha fatto ed avrebbe potuto esercitare un ruolo mettendo in guardia rispetto a quelli che egli crede siano i pericoli che l’Italia corre. Avrebbe, quindi, salvato la Banca d’Italia ed il ruolo che le compete. Non lo ha fatto. Ecco perché la sua tranquillità è irrilevante, anzi, ridicola. Per noi egli è un innocente, un cittadino che ha l’inviolabile diritto di difendersi con tutte le armi che la legge gli mette a disposizione, e, in più, gli auguriamo di veder trionfare le sue giuste ragioni. Ma, così procedendo, è anche un irresponsabile, un uomo che sta spezzando uno dei pilastri istituzionali che reggono l’Italia.