Economia

Fiducia e debito

Fiducia e debito

Qualche illuso, maniacalmente italofono, suppone che il governo giocherà la sua partita finale lunedì e martedì della settimana prossima, in Parlamento. Invece saranno decisivi il mercoledì e giovedì, sul campo del Consiglio europeo. L’approvazione della legge di stabilità, divenuta definitiva ieri, è un buon viatico, ma prima della partenza i governanti saranno chiamati a discutere della loro stessa esistenza. Basta tenere a mente questi due appuntamenti, basta ricordare che l’approvazione della finanziaria era considerata preliminare al potere aprire la crisi di governo, per comprendere quanto la politica politicante, quella fatta di gruppi al ristorante e dichiarazioni non dichiaranti, abbia perso la bussola.

L’accapigliarsi nel vernacolo politichese induce a credere decisive le proprie beghe, cancellando ogni realtà che distragga i contendenti dalla loro squittente tenzone. Per esempio: fanno finta di non capire quel che accade circa lo stabilimento Fiat di Mirafiori. Lì la questione non è affatto relativa a quali sono le opinioni della Fiom, o di qualche altro sindacato, ma concerne l’inutilità degli organismi sindacali, ivi compresa Confindustria, quando non si può più intermediare spesa pubblica. Paradossalmente, il contratto nazionale metalmeccanici era lo strumento con cui Fiat, un tempo alla guida o influente membro di Confindustria, portava il resto dell’industria a stare al passo con i propri bisogni, soddisfatti anche da spesa pubblica, ora, all’opposto, esauritosi il flusso di denaro, è la stessa Fiat a volersi sbarazzare del contratto nazionale, perché quel che conta è solo la competitività delle singole imprese e dei singoli stabilimenti. L’alternativa, altrimenti, è secca: si chiude e s’investe altrove. Ma la politica non capisce o finge di non capire, così invoca la riapertura delle trattative e scantona il tema imprescindibile: un sistema paese che paga tassi più elevati di altri sul proprio debito non avrà né banche né imprese competitive, se non di nicchia. Ecco la questione, che se ne frega del trio, delle primarie, del sistema elettorale e d’ogni altra carnevalata dialettale.

Saggiamente Giulio Tremonti e Jean-Claude Juncker (primo ministro lussemburghese) propongono di finanziare i debiti statali con titoli di credito europei. E’ uno degli strumenti per federalizzare il debito, che ho già sostenuto essere la soluzione. I tedeschi s’oppongono, perché non intendono far pagare ai propri elettori i troppi insegnati di ginnastica greci. I francesi ancora tacciono, conquistandosi un ruolo determinante. Il fatto è che se non si federalizza il debito si rischia di vedere fallire i Paesi europei uno appresso all’altro, fino al punto di far fallire anche i più solidi, Germania compresa, perché sono defunti i debitori, ma se lo si federalizza (o anche solo lo si mette in sicurezza, come costosamente e con miopia si sta facendo) si sposta la spesa pubblica sia dal punto di vista geografico che di destinazione, passando dai più virtuosi ai più viziosi e dai servizi pubblici agli speculatori. Per evitare l’emorragia di soldi e buon senso si deve utilizzare la forza della crisi per far avanzare l’integrazione politica europea. Altrimenti meglio mollare subito, ammettere la sconfitta e tornare alle valute nazionali.

Torniamo nel cortile, fra i discolacci con la testa dura e le ginocchia sbucciate. Non ce n’è uno che proponga la seconda cosa. E così sia. Anche a me sembrerebbe la strada sbagliata. Quindi si tratta di stabilire come si resta nell’euro e come si fa ad evitare che sfasci l’Europa. Si può sostenere, come in diversi fanno, che questo governo non sia all’altezza. Nel qual caso mi sfugge perché sono stati favorevoli all’approvazione della legge di stabilità. Eventualmente, appunto, era su quella che il governo sarebbe dovuto cadere, non sui gargarismi politichesi. No, dicono quelli del trio e dell’opposizione, perché noi abbiamo senso di responsabilità e non apriamo le crisi su questioni così delicate. Bravi, e le aprite il giorno prima del Consiglio europeo, nel momento in cui si cerca di far valere il contenuto di quella stessa legge?

Credo, invece, che se si ritiene inadeguato il governo lo si deve mandare a casa al più presto. Che ci mettiamo, al suo posto? Una coriandolata di gruppi in conflitto fra loro? Oppure un club di intelligentoni (misurati da chi, su cosa?) che non dispongono di un voto che sia uno? Più si crede che il momento sia grave (e lo è), meno si può essere disposti a soluzioni pericolanti e pericolose. Quindi, semmai, si dovrebbe chiedere di tornare alle urne immediatamente, nei tempi strettamente costituzionali. Non sarebbe una bella cosa, ma per i mercati un’indicazione di linearità e stabilità superiore a quella di governicchi tenuti assieme solo dalla paura.

Nel frattempo, magari, se non sono troppo intenti a sfidarsi nel piantar chiodi con il cranio, potrebbero farci sapere, ciascuno per sé, se hanno delle idee specifiche sulle vere questioni, che qui non ci stanchiamo di richiamare. Perché, come dire?, la loro spocchiosa prosopopea da leader di caseggiato comincia ad indurre risposte men che cortesi.

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