Il finale è un continuare e, per continuare, è necessaria una visione politica che superi la contingenza. Non è paradossale, ma consequenziale, che la si trovi nelle parole di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, che ieri ha svolto per l’ultima volta le sue “considerazioni finali”.
Il testo andrebbe letto e riletto per intero. Non ci sono novità, ma è il percorso logico a pesare. L’Unione europea e l’unione monetaria sono state sospinte alla maggiore integrazione da un susseguirsi di crisi, a partire da quella dei debiti sovrani. Tanto era maggiore il pericolo tanto più lestamente s’è provveduto a difendersene assieme. Si sono così utilizzati strumenti finanziari nuovi, che hanno consentito di fare prestiti ai Paesi che ne avevano bisogno – come sul fronte della disoccupazione – e di finanziare la transizione energetica e gli investimenti. Non di meno questi nuovi strumenti hanno una dimensione corposa e una durata eterea, laddove sarebbe bene stabilizzarli. Quindi avere stabilmente più integrazione europea. Resta da completare l’unione bancaria, sul cui tracciato si trova il Mes (Meccanismo europeo di stabilità), che potrà svolgere una funzione importante, disponendo delle risorse necessarie. Tradotto: ratificate in fretta la riforma, che si sta facendo una figura imbarazzante.
Ridurre il peso del debito pubblico sul prodotto interno lordo non è una cosa che ci “chiede l’Europa”, ma quanto ci impone la nostra stessa Costituzione – oltre che il buon senso – visto che un debito elevato comporta la consistente spesa annuale di soldi, per pagare gli interessi, che potrebbero essere utilizzati diversamente. Possiamo riuscirci continuando a crescere, utilizzando i fondi messi a disposizione dal programma europeo Next Generation Eu e la cui spesa è prevista dal Pnrr. Ma non c’è tempo da perdere e non si può sprecarlo discutendo di cambiamenti imprecisati.
Visco è partito e ha concluso ricordando l’aggressione della Russia all’Ucraina, con le sue conseguenze; non ha mancato di ricordare la crisi demografica, lapidariamente affermando che per i prossimi decenni «i giochi sono fatti» (il che impone di tenerne conto quando si parla di pensioni, non per un futuro imprecisato ma per il presente in cui, invece, ancora si discetta di anticipi e agevolazioni); ha richiamato il doloroso fatto che i giovani andrebbero valorizzati, ma da noi sono meno istruiti che in altri Paesi europei; ed è così giunto al passaggio politico decisivo, che scommettiamo sarà ignorato: «Serviranno tempi relativamente lunghi, tali da coinvolgere più legislature; gli obiettivi vanno perseguiti con costanza e lungimiranza e con il consenso diffuso dei cittadini».
Ed è questo il nocciolo: oggi cresciamo più di altri Paesi europei, come Francia e Germania, ma la nostra produttività ha arrancato per decenni, creando uno svantaggio, nel mentre il debito cresceva, impiombandoci le ali; si può e si deve rimediare, ma servono una visione pluriennale e la coerenza di mantenere la rotta. Partiti che fossero effettivamente e pienamente politici avrebbero sì il diritto e la funzione di organizzare e raccogliere il consenso per le proprie liste e per i propri candidati, ma dovrebbero escludere di farlo in contrasto con la necessità di formulare idee e proposte coerenti con una visione futura e compatibile con il quadro delineato. Il raccogliere applausi promettendo soldi, pensioni e garanzie per tutti può pure funzionare per una o due tornate elettorali, ma sarà travolto dall’incoerenza e metterà a rischio l’Italia tutta. Specie se i concorrenti rilanceranno proposte e idee ancora più incoscienti, sentendosi in diritto di farlo perché gli altri lo hanno fatto.
Quella descritta da Visco è l’Italia di chi sa e sente che esistono anche i doveri. Non certo perché si ami la vita penitenziale, ma perché si cerca di evitare che tutti paghino penitenza esagerata per avere abboccato a promesse fuori dalla realtà e anche dalla moralità politica, che si nutre di conoscenza e coerenza.
Davide Giacalone, La Ragione 1° giugno 2023