Economia

(Fin)Cantieri Italia

(Fin)Cantieri Italia

Per rimettere in moto l’Italia se ne deve conoscere e ascoltare il motore. Quello che è arrivato da Fincantieri è un ruggito imponente, ma, posto che si tratta di una società posseduta dallo Stato (per il tramite di Fintecna, le cui azioni sono intestate alla Cassa depositi e prestiti), non basta cullarsi nel rombo. Se ne deve comprenderne l’origine e non sprecarne le potenzialità. Ragionarne seriamente ci porta assai oltre i festeggiamenti.

Il fatto: Fincantieri si è aggiudicata la costruzione di quattro navi per esplorazioni offshore, per un valore di 1,1 miliardi. Spacchettando la vittoria si scoprono cose istruttive. Le navi sono destinate a Petrobras e questo aggiunge valore strategico al valore economico, visto che dai grandi affari brasiliani siamo di fatto stati esclusi dopo l’incresciosa vicenda di Cesare Battisti (che i francesi ci lanciarono fra le gambe, per stroncarcele). A seguito di questo sblocco si può tornare a discutere delle forniture militari, sempre nel settore della cantieristica. Prima osservazione: non ho visto commenti politici su questo punto. Delle due l’una: o degli interessi vitali dell’Italia non importa nulla a nessuno, o, più probabilmente, si deve studiare meno e pensare affatto per rilasciare dichiarazioni sulle solite menate politiciste.

Chi si è aggiudicato la commessa? Fincantieri, lo abbiamo detto. Ma con quale strumento? Per il tramite della Vard, società cantieristica norvegese di cui gli italiani hanno acquisito il controllo (55,63% delle azioni) nel gennaio scorso. Due delle navi saranno costruite nel cantiere di Tulcea, in Romania, e le altre due in quello di Søviknes, in Norvegia. Sono io che mi sono distratto o non c’è mai stato un vero dibattito di politica industriale, circa l’internazionalizzazione di Fincantieri, che, lo ripeto, appartiene allo Stato? Direi che a Giuseppe Bono, amministratore delegato, si possono fare i complimenti: è stato bravo, ha trasformato un’impresa in crisi in una multinazionale aggressiva, ha segnato punti importanti a favore dell’Italia. Ma, posta l’autonomia manageriale, la sorte di quell’impresa non può essere discussa riservatamente. O non essere discussa affatto. E qui, difatti, vengono al pettine due nodi grandi come navi.

Abbiamo detto che le navi saranno messe a disposizione di Petrobras, ma l’armatore, la società committente, è una joint venture fra la norvegese Dof Subsea e la francese Technip, multinazionale nel settore dell’energia. La domanda è: se i francesi dell’energia si affidano a Fincantieri per rifornire i brasiliani delle ricerche ed estrazioni petrolifere, perché le società italiane che lavorano nello stesso settore hanno fornitori diversi? Non è un quesito malizioso. Ci saranno ragioni solide. Ma dato che sono tutte aziende facenti capo allo Stato mi parrebbe la condizione ottimale per dimostrare che “fare sistema” non è solo uno slogan poverello da conferenziuccia domenicale. Tanto più che proprio al largo delle coste brasiliane l’Eni è titolare di diritti estrattivi che sono rimasti sulla carta: vinti ma mai effettivamente autorizzati, quindi valorizzati. Fare sistema significa anche avere una comune politica nei rapporti con le autorità e il sistema brasiliani. Dalle parti del governo qualcuno dovrebbe porsi e porre il problema.

Così come ci si dovrebbe porre una questione indifferibile: siamo sicuri che l’assetto proprietario attuale sia il migliore? La Fincantieri di Bono ha fatto acquisizioni con le quali si è collocata ai primi posti della cantieristica mondiale (al primo, se si escludessero i coreani). Le possibilità d’espansione sono ancora enormi, proprio perché si uniscono la grande competenza tecnica, la raffinata capacità progettuale e il fascino imbattibile del Made in Italy (anche quando le cose si fanno fuori). Questa roba non può continuare ad avere l’azionariato che le si diede quando si trattava di roba decotta, capace solo di perdere quattrini.

Ricordo che lo stesso Bono presentò un piano industriale che fu lestamente costretto a rimangiarsi, per le pressioni del sindacato e della politica. Lasciare tutto in quelle condizioni è folle. Quindi fanno scopa due esigenze: quella di fare cassa, vendendo quote della proprietà, e quella di dare mercato a chi ha dimostrato di sapere stare nel mercato.

E’ bello poterne parlare prendendo spunto da un successo, avendo a oggetto una società che cresce e si posiziona bene. Quel rombo va ascoltato, capito e assecondando. Passi che è agosto, passi che sono tutti impegnati nel gioco del piccolo procuratore, ma aver visto passare la notizia senza che si elevasse un pensiero uno, ma solo qualche calice, è preoccupante assai.

Pubblicato da Libero

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