Economia

Fra Serbia e Brasile

Fra Serbia e Brasile

E’ cosa buona e giusta che un gestore di telecomunicazioni sia presente in diversi mercati nazionali, ed abbia una coerente strategia d’espansione all’estero.

E’ cosa buona e giusta che Telecom Italia non abbandoni, ed anzi sviluppi, quella vocazione internazionale che fu già della Stet, in epoca di monopolio nazionale. All’estero, però, si va per cercare e creare valore, non certo per il puro gusto di piantare bandierine improduttive.

Di recente si è fatto un gran parlare degli investimenti italiani nelle telecomunicazoni della Serbia, ma si è fatta anche una certa confusione. Intanto si sgomberi il tavolo dal moralismo un tanto al chilo: gli investimenti in pubbliche relazioni sono una realtà che non tramonta. Gli statunitensi, tanto per fare un esempio, sono assai rigorosi al loro interno ma divengono disinvolti quando superano i confini federali.

Se un mediatore, quindi, od una banca d’affari, ha creato e finanzia una propria rete di relazioni nel paese ove si va ad investire la cosa diventa disdicevole solo nel caso in cui si violino le leggi di quel paese. Ma, attenzione, a due condizioni: la prima è che non si finanzino dei nemici del proprio paese (cosa sulla quale gli statunitensi divengono feroci); la seconda è che i soldi frutto delle mediazioni non tornino a soggetti operanti nel proprio paese (che, altrimenti, si tratta di un reato). L’affare serbo si presta ad ambedue questi sospetti, e non è finita.

Dopo che il caso è stato sollevato, i vertici di Telecom Italia si sono mossi per capire cosa era successo e come stavano le cose. Già, ma perché non hanno, prima, cercato di riflettere sull’effettiva utilità di quell’investimento e sulla strategia (per il vero assente) nella quale questo avrebbe dovuto inserirsi? Difatti, al di là delle questioni eventualmente rilevanti per il lavoro dei magistrati, rimane che i soldi s’investono dove si conta che rendano, e dove si ha in mente un percorso di sviluppo.

Chi, nell’attuale gestione, si è occupato della Serbia, e che cosa ha in mente? A leggere certe dichiarazioni, vien fatto di pensare che in Telecom Italia si siano accorti di avere investito in Serbia solo dopo che ne sono stati evidenziati alcuni scomodi particolari. Detto questo, il caso Serbia è economicamente quasi irrilevante, ed è altrove, come ad esempio in Sud America, che si dovrebbe concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica.

In quest’area la Stet aveva un insediamento storico, con una strategia ed un ritorno economico. Da qualche tempo, invece, non solo si sono sconvolte le alleanze, non solo si sono logorati i rapporti istituzionali, non solo l’emergere di nuovi operatori ha tolto smalto alla presenza italiana, ma tutto questo è stato accompagnato da investimenti strabilianti in avventure i cui esiti sono a dir poco incerti.

Si tratta d’investimenti così elevati da aver fatto sorgere il dubbio, in Brasile, che possano aver celato interessi diversi da quelli così apparentemente privi di ragionevolezza. Questo in Brasile, perché in Italia tali acquisizioni sono state accolte da un giornalismo economico o distratto o plaudente, in ambedue i casi incapace di porre domande assennate.

Eppure Telecom Italia è una società nella quale il Ministero del Tesoro detiene ancora una partecipazione rilevante, ed i risparmiatori che investono nel titolo avrebbero diritto d’essere meglio tutelati rispetto all’eventualità che questi trasferimenti di ricchezza all’estero non siano catalogabili fra i saggi investimenti.

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