Economia

Franco scalatore

Franco scalatore

Come da copione, ci si appassiona al nome. Come da copione, si trascurano le regole e la sostanza. Telecom Italia fu una grande multinazionale, a distruggerla abbiamo provveduto noi italiani aprendo le porte a privati razziatori. Poi sono arrivati gli spagnoli, usciti con perdite. Ora è il turno dei francesi. Hanno comprato in Borsa, con due iniziative distinte e separate (ove così non fosse, sarebbe stata violata la legge). Vivendi s’è fermata un pelo sotto la soglia che obbliga all’offerta (opa) sull’intero capitale, come le regole consentono. Se oggi nominasse un proprio amministratore delegato scatterebbe il controllo di fatto, innescando l’onerosa opa. Si capisce perché siano meno ciarlieri dei tanti che danno fiato alla bocca.

Nella sostanza, colpiscono uno squilibrio e un vuoto. Il mercato dell’Unione europea deve essere vissuto come “interno”. Bene. Ma resta lo squilibrio: negli ultimi dieci anni soggetti francesi hanno comprato 156 aziende italiane, per un valore di 47 miliardi; mentre gli italiani ne hanno comperate 77 in Francia, per un valore di 5 miliardi. Non subisco il fascino del nazionalismo, ma occorre essere stolti per non capire il senso: si vende senza crescere.

Poi c’è il vuoto. Non ha importanza, si dice, la nazionalità del capitale, contano i progetti industriali. Giusto, ma quali sarebbero? Sono anni che sento scialbe litanie sulla digitalizzazione e lo sviluppo della rete. Ma un piano industriale non consiste nel dire che si deve crescere e aumentare il benessere collettivo. Consiste nel sapere: come, in che tempi e con quanti capitali. L’altra gnagnera è quella della multimedialità, figlia di mamma convergenza. Ma non consiste nel fatto che tutti cerchino di fare tutto, talché chi opera nelle televisioni prova a dotarsi di telecomunicazioni e viceversa, bensì nell’indebolire la vecchia televisione generalista, con offerte segmentate, e nel far fallire le società di telecomunicazione che ancora pensano d’essere venditrici di traffico. Da noi è l’arretratezza tecnologica della rete ad avere prolungato la vita del vecchio mercato (per metà statalizzato).

I francesi hanno in progetto di superare queste arretratezze, investendo nelle reti? Bene. Ma oltre che raccontarlo (ammesso che lo raccontino) a Palazzo Chigi si dovrebbe anche informarne il mercato. Fin qui Telecom ha sostenuto essere strategica la presenza in Brasile, ma è anche il solo posto da cui prendere soldi veri con una vendita (con gli spagnoli che vi troverebbero consolazione). Non è la stessa cosa, per l’Italia tutta, se si abbandona per remunerare gli azionisti o per reggere investimenti industriali. Chiedere è lecito.

In quanto al governo, non ha molto senso che dica: sono faccende del mercato, noi non c’entriamo. Tanto più che in altri settori, come le banche, agisce all’opposto, supponendo che il mercato debba obbedire. Ma ci sono anche due contraddizioni specifiche. La prima è che s’è premuto assai su Enel affinché usi la digitalizzazione dei contatori per dare vita a una rete parallela di comunicazioni. Questo è un intervento nel mercato, mediante una società quotata, ma controllata dal governo. Se quei lavori sono sinergici con la diffusione della larga banda è ragionevole che società di comunicazioni cerchino alleanze. Ma non è accaduto questo, bensì il contrario: Enel che torna a occuparsi di telecomunicazioni. La prima volta (con Wind) fu una costosissima tragedia. Inoltre, per singolare coincidenza temporale, ora riscuote anche il canone, per conto della Rai. Una sinergia nel regresso.

La seconda ragione è che non solo è da trovarsi un assetto stabile per le torri di comunicazione, oggi possedute in parte da Telecom, in parte da Rai e in parte da Mediaset, ma sono mesi che si sente parlare di un intervento di Cassa depositi e prestiti nelle reti di telecomunicazione. O la si pianta di far girare certe voci, oppure si dice chiaramente cosa si ha in testa. Inoltre occorrerebbe sapere se la sorte delle reti Sparkle, internazionali e rilevanti dal punto di vista della sicurezza, nostra e altrui, oltre che un elemento di politica estera, si decide nel mercato o altrove. Vedo anche che si prova a vestire l’operazione à la nazzarena, evocando i possibili accordi fra Vivendi e Mediaset. Vero o supposto, tutti hanno interesse ad avvalorarlo. Ma il gioco del chi si allea con chi per fare gli interessi di chi è ozioso, giacché sarebbe rilevante sapere se ci si accorda per proteggere l’arretratezza o propiziare la competizione innovativa. Intanto ci sfilano anche gli ex oligopolisti, divenuti rendite, che in Francia proteggono strenuamente.

La brutta impressione è che al governo si ha in mente di giocare alla piccola Iri, in realtà finendo con il fare la Gepi, mentre il ricco mercato italiano viene occupato non per investire e farlo crescere, ma per trovare ritorni agli investimenti, sfruttandone le indecisioni e le distrazioni. Colpe italiane, come si vede, non certo di chi viene ad approfittarne.

Pubblicato da Libero

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