Com’è delicato quell’aggettivo : “tecnico”. E com’è nobile l’ideale di adeguarsi alla legislazione europea. Solo che a noi, comuni mortali, non è chiaro quali siano i motivi “tecnici” per cui si deve prorogare al 31 gennaio 1999 quel piano delle frequenze (previsto, da ultimo, dalla legge Maccanico sulle televisioni) che doveva essere varato entro il 31 gennaio 1998; e non capiamo cosa cappero c’entri questa proroga con l’Europa.
Quindi prendo carta e penna per sostenere che dal ministero delle comunicazioni ci stanno prendendo per i fondelli.
Intanto non è la prima volta. All’inizio dell’anno scrissi che il piano non sarebbe stato presentato nei tempi stabiliti dalla legge. Il ministro Maccanico disse, prudentemente, che il termine era ordinatorio (ed anche quello del 31 gennaio 1999 lo è), che valeva a dire che lo si sarebbe superato senza problema. Il sottosegretario Vita fu più categorico : presenteremo il piano entro i tempi stabiliti. Un caso umano, il suo.
Adesso, nel comunicarci che non se ne parla fino all’anno prossimo, tentano di darci a bere che la colpa è delle Regioni, oltre che della ritardata nomina dell’Autority. Sia chiaro : le regioni non hanno alcuna colpa, e l’Autority dovevano nominarla le forze politiche, e segnatamente la maggioranza, pertanto che protestino contro se stessi, anziché addurre i propri ritardi a giustificazione dei propri ritardi.
Ma veniamo al merito. Il lavoro di pianificazione non ha mosso un solo passo, e lo ammette anche il governo, dato che non chiede una proroga di qualche settimana, ma di un anno, vale a dire di un tempo superiore a quello originariamente messo a disposizione dalla legge che loro stessi proposero ed approvarono. E il lavoro di pianificazione non ha mosso un passo perché i signori del governo non sanno come farlo. E mi spiego.
Ci sono tre approcci possibili. Il primo è quello di prendere gli impianti della Rai, considerarli come totem da adorare e da circondare di ogni sicurezza. Se a questo si aggiunge l’applicazione di norme radioelettriche desuete, si giunge ad un piano che comporta la chiusura della grande maggioranza delle emittenti private. Risultato improponibile (se non nella mente di qualche burocrate), pertanto approccio impercorribile.
Il secondo approccio è quello di pianificare come se non esistesse la realtà, sistemando gli impianti e le frequenze in modo ottimale, ma non tenendo in minimo conto come già postazioni, impianti e frequenze sono distribuiti. Questo approccio ha un suo fascino, ma sbatte il grugno contro la comica follia che ne deriverebbe : si assisterebbe ad una gigantesca quadriglia, in cui tutti sono costretti a scambiarsi postazioni ed impianti, ed a causa della quale gli italiani vedrebbero cambiare tutte le postazioni sui loro telecomandi. Un manicomio, sia pure animato da una follia lucida.
Il terzo approccio è quello di pianificare, ottimizzare e sistemare a partire dalla realtà esistente. In questo caso si ottiene la convivenza del maggior numero possibile di emittenti, ponendo rimedio ai difetti della non regolamentazione delle frequenze. Il terzo approccio ha il pregio di essere razionale, ma, per i signori che oggi siedono al governo, ha il difetto di condurli esattamente ove era giunto il piano elaborato nel 1991 (e nel quale nessuno ha ancora trovato la benché minima irregolarità).
Esito imbarazzante, non vi pare? Specie per chi ha, sulla materia, mostrato tanto scandalo e detto tante corbellerie. Allora cosa si fa? Si proroga, poi si riproroga e poi si proroga ancora. Nel frattempo arrivano le tecnologie di trasmissione digitale e, finalmente, sarà del tutto inutile fare un qualsiasi piano delle frequenze. Questa è la mia previsione. Per il momento, comunque, potrò ancora divertirmi a vedere come si tenta di mascherare le inadempienze, come i giornali che ieri urlavano scandalo oggi pubblicano colonnini “tecnici”, come ci si contorca a tirare in ballo un’Europa che non c’entra un fico secco. Potrò divertirmi, nella convinzione che finché c’è Vita c’è speranza.