Economia

Fuga dal fisco

Fuga dal fisco

I Paesi europei sono alla ricerca di un’uscita di sicurezza che consenta la fuga da un fisco che allunga la recessione e allontana la ripresa. Francia e Spagna, proprio in queste ore, stanno studiando il modo di aumentare la produttività riducendo il prelievo. Da noi i dati continuano a dire il contrario: nel mentre l’Istat conferma che il 2013 sarà ancora un anno di recessione (come noi insistevamo a evidenziare, sulla base di quanto il governo stesso ha scritto nel Documento di economia e finanza, e al contrario di quel che i governanti annunciavano, parlando di ripresa a partire dall’anno prossimo), con meno prodotto interno lordo, meno consumi delle famiglie e meno investimenti, nel mentre, quindi l’arretramento previsto si sommerà a quello già avvenuto, il ministro dell’economia, Vittorio Grilli, annuncia che il gettito fiscale, per il 2012, è aumentato del 3,8% rispetto all’anno precedente, il che vuol dire 10,6 miliardi ulteriormente tolti dal mercato e destinati alle casse pubbliche. Si può condire questo dato con tutto il moralismo fiscale di cui la retorica è capace, ma resta il fatto che si tratta della ricetta ideale per asfissiare, non certo quella per tornare a respirare e correre.

Il capo del governo spagnolo, Mariano Rajoy, alle prese con una ristrutturazione drammatica dei conti pubblici e con una crisi delle banche che richiede immediati aiuti statali, nonché in una condizione decisamente peggiore di quella italiana (il debito pubblico e il debito privato, aggregati, arrivano, in Italia, al 75% della ricchezza finanziaria lorda per ogni adulto, mente in Spagna è al 103!), ha annunciato che non intende aumentare le tasse, oltre al punto di Iva già operante, che non intende diminuire lo stipendio dei dipendenti pubblici e che, anzi, conta di far scendere la pressione fiscale già nel 2014. Resterà da vedere il come, se nel frattempo i mercati daranno tregua alla Spagna, e se l’Unione monetaria europea saprà dotarsi di strumenti meno effimeri, ma è già oggi evidente che quel governo è perfettamente consapevole che la via dell’aggravio fiscale non solo non è una soluzione, ma è il problema.

Analoga consapevolezza c’è in Francia (sempre per usare lo stesso parametro del debito aggregato, in rapporto alla ricchezza finanziaria, i francesi sono all’83%, quindi in posizione peggiore della nostra). Nel luglio scorso il presidente della Repubblica, Francois Hollande, ha incaricato Louis Gallois (già presidente delle Ferrovie e di Eads, ora commissario per l’investimento di fondi pubblici) di elaborare delle proposte per il rilancio della produttività. Gallois ha risposto: 20 miliardi di alleggerimento per le imprese e 10 per i lavoratori, da compensare trasferendone il peso sulla fiscalità generale e sui consumi. Ma a Holland il rapporto non è piaciuto, perché ritiene giusta la premessa, vale a dire la contrazione di quello che noi chiamiamo “cuneo fiscale”, ma non lo spostamento del peso, perché avrebbe effetti negativi. Il governo francese, quindi s’appresta a rilanciare la produttività, già a partire dall’anno prossimo, senza gravare sulla fiscalità. In altre parole, si prepara ad abbassare le tasse, partendo da quelle su produzione e lavoro. E se a questa conclusione giunge un governo socialista, è segno che lo strangolamento da cappio fiscale è considerato fin troppo evidente.

Fra le 22 proposte consegnate da Gallois ci sono cose come la presenza delle aziende nel sistema formativo, lo sgravio fiscale per le polizze vita e l’orientamento della spesa pubblica verso le piccole e medie aziende. I francesi hanno capito l’aria che tira, mollando ogni pregiudizio ideologico e preparandosi pragmaticamente a far fronte alla crisi. Anche qui: vedremo se ne saranno capaci, ma capire hanno capito.

Da noi s’è rimasti un passo indietro e quando si parla di alleggerimenti fiscali si viene presi per gente estrosa, se non direttamente per pazzi. Eppure quella è la via, che diventa percorribile se si procede a tagli profondi e strutturali della spesa pubblica, riducendo il perimetro d’attività dello Stato, in tutte le sue articolazioni, e se si aggredisce il debito mediante dismissioni di patrimonio pubblico. L’alternativa è suicida, perché finanziare il costo del debito con le tasse significa far scendere la ricchezza prodotta e, come sta avvenendo, ottenere il contraddittorio risultato di vedere crescere il peso del debito sul pil. Mentre intaccare il valore del patrimonio privato, con ulteriori tassazioni, significa demolire il nostro punto di forza, messo in evidenza nei pochi dati che ho citato.

Se trovate qualche politico, qualche candidato a governare in futuro, che abbia elaborato idee e formulato proposte che non siano battute, su questi temi, fatemi un fischio.

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