Produrre energia elettrica con la forza del vento, come con ogni altra fonte rinnovabile e non inquinante, è cosa buona e giusta. Siamo riusciti, però, a trasformare il girar di pale in un mercato assistito e inquinato. Con il tocco di un Re Mida al contrario si è stati capaci di avviare una gara speculativa, nella quale la produzione d’energia è l’ultima delle cose cui si pensa. Proviamo a correggere gli errori, prima che diventino irrimediabili.
Il campo energetico è affollato di fondamentalisti. C’è chi è pronto a scempiare ogni paesaggio, pur di non impiantare centrali nucleari. E chi non è disposto a riconoscere che il sole o il vento possano dare energia, sperando così di rendere più forte la scelta verso altre fonti. I fondamentalisti hanno sempre torto, quale che sia la tesi abbracciata. Un Paese serio non rinuncia a nessuna fonte, sapendo che la stabilità nella produzione è assicurata dalle grandi centrali, quindi anche dall’energia nucleare. Se fossimo saggi ne avremmo già avviato la costruzione, dopo essere stati folli nell’uscire da quel mercato. Eolico e solare non sono alternativi al nucleare, ma complementari. Rispondono ad esigenze diverse.
Per valutare la convenienza di ciascuna fonte si deve considerare il costo (anche energetico) per impiantarla e metterlo a confronto con il valore dell’energia che potrà produrre. In certi casi eolico e solare presentano saldi negativi, quindi non convenienti. Ma rispondono bene a mercati particolari: siccome l’energia elettrica non si conserva, o si conserva in quantità limitate, quel che viene prodotto deve essere consumato. Questo avviene in due casi: a. quando produttore e consumatore coincidono (es. pannello per la doccia o pale per i bisogni di un’azienda agricola); b. se esiste un mercato dell’energia, per cui quel che viene introdotto in rete a Enna può essere consumato a Belluno. La seconda cosa è assai interessante, ma oggi inesistente. Quindi dobbiamo attrezzarci con grandi centrali per i consumi di massa, e per i picchi di domanda, e impianti diffusi per esigenze localizzabili. Non escludendo la loro crescita al diverso strutturarsi del mercato.
Se, per sollecitare la produzione da fonti rinnovabili, pur non essendo questa conveniente rispetto all’acquisto diretto d’energia elettrica, si offrono incentivi che superano di molto quel valore si otterrà il risultato che gli impianti saranno istallati non per l’energia, ma per i contributi. Dopo di che la corruzione accenderà più speculazioni che lampadine. Da noi, in particolare, i contributi sono troppo alti e incerti nel tempo, che è la formula migliore per selezionare i peggiori.
Produrre un megawatt (MW) d’elettricità da fonti fossili costa oggi circa 50 euro. Un prezzo che dipende dall’andamento del gas e del petrolio. A questo costo diretto bisogna aggiungere il costo indiretto dell’inquinamento da CO2. E’ una diseconomia esterna che dovrebbe gravare su chi inquina, mentre il beneficio andare a chi produce energia senza inquinare. Stiamo parlando dei famosi “certificati verdi”. Il valore di tali certificati dipende dalla reale tassazione degli inquinatori: se molti sono esentati da tale costo, per evitare che le aziende inquinanti diventino non competitive, il vapore dei certificati è basso. Se si fanno pagare tutti gli inquinatori il valore dei certificati sale, di molto, perché sono un bene scarso. Diciamo che un fair value astratto potrebbe essere di 25-30 euro a MW.
Ne consegue che l’energia rinnovabile prodotta al costo di 75-80 euro a MW è già competitiva e, considerando che, a differenza di quella fossile non dipende da importazioni incerte e non rischia di subire aumenti incontrollabili nel futuro, fino a 100 euro a MW le rinnovabili hanno senso economico. Oltre questo livello la produzione è artificialmente sussidiata.
Le tariffe eoliche, in Europa, viaggiano oggi tra i 65 ed i 100 euro a MW, e sono ragionevoli in una logica di mercato. L’eccezione è l’Italia, dove la tariffa eolica fino all’anno scorso arrivava a 180 euro a MW, ma, a differenza degli altri Paesi, questa tariffa non è indicizzata all’inflazione, e non è garantita per 15 o 20 anni. Motivo per cui chi investe in Italia nell’eolico fa molti soldi per ora, ma rischia di perderli in futuro.
Tutto questo ha portato ad una ridicola inversione di rotta: fino a qualche tempo fa parlare di fonti rinnovabili era, per apodittica assunzione, cosa da applaudire e benedire, ora, invece, parlare d’eolico somiglia all’apologia di reato. Un andamento schizoide che rivela un andazzo non governato e non controllato. Il tutto nel mentre stiamo lasciando passare il treno interessantissimo dell’innovazione e dell’automazione, capace di produrre tecnologia in grado di promuovere il risparmio e la nascita di nuovi mercati. Come quello del prepagato elettrico, che tanto successo ha avuto in campo telefonico. Una tecnologia che controlla i picchi di consumo e un mercato che aiuta a controllare la spesa finiscono con l’avere un ritorno economico ed ecologico nettamente superiore alle tante fanfaluche sostenute dai seguaci del sole che ride. Alle loro spalle.