Provinciali e ripiccosi, questo sembriamo quando ci tiriamo dietro le analisi economiche pubblicate in inglese. Litigiosi capponi manzoniani, che non la piantano di far campagna elettorale. I dati del Fondo Monetario Internazionale raccontano una storia seria, che non è quella su cui si scucuzzano i galletti della politica.
Il dato relativo al deficit atteso non è rassicurante, ma neanche nuovo né in sé drammatico. Stare un punto sopra al limite consentito non è la fine del mondo. Ma avere un deficit consistente e, al tempo stesso, avere una crescita economica inferiore alla media dell’area dell’euro, è il vero campanello d’allarme. Tanto più che quest’area già cresce poco di suo, perdendo punti rispetto agli Stati Uniti, per non parlare dei Paesi di più recente sviluppo. Ciò significa giungere in condizioni di difficoltà ad un periodo che prevede il rialzo del prezzo del petrolio e dei tassi d’interesse, quindi di quel che dobbiamo pagare per potere finanziare l’enorme debito pubblico.
Se la colpa di questo fosse della destra, potremmo starcene tranquilli, visto che governerà (si fa per dire) la sinistra. Se la colpa fosse stata della sinistra i conti non tornerebbero, perché negli ultimi cinque anni se ne stavano all’opposizione. Ma questi son discorsi per gente non sobria. Il fatto è che in un’Europa che perde competitività, l’Italia la perde in modo ancor più vistoso, ed in un’economia globalizzata (che è un bene) questo significa che i modelli sociali e di sviluppo europei sono divenuti antiquati, le rigidità sempre meno tollerabili, la produttività sempre meno al passo con il mercato. Naturalmente vi sono differenze fra i Paesi, e noi non siamo fra i messi meglio.
Da più di dieci anni ci guardiamo l’ombelico, facciamo finta che il mondo attorno a noi non esista, facciamo crescere le rendite e deprimiamo il mercato. I nostri gruppi industriali si sono messi a fare i bollettifici e campano con i soldi dei consumatori d’energia, di traffico telefonico, di chilometri autostradali, al tempo stesso pretendendo un mercato protetto che diventa ghiotto boccone per investitori esteri. Lo Stato che avrebbe dovuto ritirarsi dal mercato ha figliato municipalizzate che lo occupano come fossero dei soviet. Le famiglie hanno visto crescere il valore del patrimonio immobiliare, mentre a non pochi è decresciuto il reddito reale. Abbiamo contratto la sindrome del nobile decaduto: bella vita, terre al sole, tasche piene di debiti e la speranza che la figlia si faccia mettere incinta dal fattore, che i soldi li ha.
A me pare che il centro destra, in cinque anni di governo, abbia fatto troppo poco. Troppo poco in liberalizzazioni, taglio di vincoli, ridimensionamento dei corporativismi, detassazione. Secondo la sinistra ha fatto troppo, tant’è che pretende di cambiare una delle cose fatte bene, la legge Biagi (siamo fra i Paesi con migliori risultati sul fronte del lavoro). La nostra economia non è affatto in coma, segni di ripresa sono più che evidenti, il non emerso è consistente e “tira”, ma il problema è portare a sistema, a beneficio collettivo, il vento che risoffia nelle vele. E’ la politica, la sua incapacità, l’irresponsabilità dei beoti sorridenti, il nostro problema. La stipsi non è una tragedia, ma se il primo medico, pur esaltando il valore delle prugne, ti dice di mangiare solo banane ed il secondo te le toglie dando della bestia al collega, per poi suggerirti delle gran spremute di limone, bé, il blocco intestinale è alle porte.