Economia

I sogni e i conti

I sogni e i conti

Da una parte si coltivano sogni di grandi riforme, dall’altra ci sono i conti che non tornano. Si può non credere nei primi e cercare di nascondere i secondi, ma sono cose maledettamente reali, cui non si può mettere la mordacchia. Sembra d’essere in una famiglia nella quale alcuni, riuniti in una stanza, discutono su come riparare il tetto, da cui entra acqua, e, già che ci si trovano, immaginano di ristrutturare l’intero appartamento, corredandolo di giardino pensile, mentre altri, nella stanza accanto, hanno appena finito di fare i conti e comunicano che non ci sono i soldi per pagare il riscaldamento. Se si da retta solo ai secondi, che sembrano i più concreti, va a finire che si risparmia sulle ristrutturazioni e si paga il gasolio, con il risultato che più piove e più la casa s’allaga e raffredda. Se si da retta solo ai primi, che sembrano i più proiettati nel futuro, va a finire che si sta al calduccio e nelle comodità, ma per poco, perché dopo arrivano i creditori e pignorano tutto.

Capisco che al solo sentir parlare di “manovra correttiva” ci sia chi reagisce digrignando i denti, ma i nostri conti pubblici attendono, da tempo, una super-ultra-maxi correzione. Il peggio che possa capitarci è non avere il coraggio delle grandi cose, condannandoci a tanti interventi parziali, tutti dolorosi e fastidiosi, nessuno risolutivo. Quindi, senza allarmismi apocalittici, ma anche senza cinguettii fuori stagione, ragioniamo sulla realtà. I dati Istat parlano di un 2009 che ha impoverito le famiglie. I dati vanno sempre letti, ma questi erano scontati, visto che il 2009 è stato un anno di recessione. Ed è stato l’anno in cui la gestione della spesa pubblica, per opera di Giulio Tremonti, s’è dimostrata saggia, evitandoci i costosi errori commessi da altri.

Se si guarda dentro a quei dati, però, si scoprono cose interessanti. I consumi sono scesi (-1,9%), ma meno del reddito disponibile (-2,6%). Ciò significa che gli italiani hanno messo mano ai risparmi, pur di mantenere, finché possibile, il tenore di vita raggiunto. Fra i risparmi spesi, quindi utilizzati per colmare la differenza fra redditi e consumi, devono comprendersi i soldi fatti rientrare con lo scudo fiscale. Le medie, Trilussa docet, raccontano l’andamento dell’insieme, senza restituire la reale condizione di ciascuno. Differenziando si capiscono molte cose: chi ha perso il posto di lavoro s’è impoverito drasticamente, chi ha visto diminuire il reddito, come i cassintegrati, ha subito un danno, fra tutti gli altri, però, c’è chi è andato meglio, come buona parte del lavoro dipendente e dei pensionati. Mentre infuriava una dura crisi mondiale, quindi, c’è chi ha perso tutto, c’è chi ha perso qualche cosa, ma ce ne sono tanti cui è andata alla grande. E questo aiuta a spiegare la tenuta dei consumi, come le file pasquali, che certuni scambiano per manifestazione di redditi occulti.

Se provassimo a dividere le gioie e i dolori per categorie, avvertendo che, come sempre, ci sono forti differenziazioni interne, potremmo dire che autonomi e piccoli, oltre ai licenziati, hanno pagato la crisi, mentre gli altri si sono goduti lo spettacolo. Il fatto paradossale, da noi segnalato subito, è che le istituzioni sembrano interessate a tutelare i secondi (come il Quirinale che rimanda indietro una blanda riformina del lavoro dipendente) e se ne fregano dei primi. I quali, oltre tutto, sono in larga parte la base sociale su cui poggia l’attuale maggioranza parlamentare.

Se la politica esistesse, e sapesse fare il suo mestiere, dovrebbe entrare nella famiglia inizialmente immaginata e dire: c’indebitiamo per fare i lavori, ma puntiamo sulla coibentazione, non sul giardino, che può aspettare, nel frattempo, mentre il tetto sarà sventrato, concentriamo il riscaldamento solo dove si dorme ed evitiamo di girare nudi per la casa. Tradotto in termini Paese significa mettere mano al patrimonio pubblico per favorire la spesa per investimenti, avendo il coraggio di chiudere i rubinetti di quella inutile e clientelare, mentre sul lato fiscale, dove la pressione è intollerabile, ma il debito ineludibile, occorre dimostrare che si sta lavorando per uscirne, alleggerendo gli adempimenti in attesa di alleggerire le aliquote. Tanto per capirsi: gli incentivetti che durano quindici giorni sono soldi buttati.

Per fare queste cose, però, occorre determinazione politica e forza istituzionale. Non è che mi sia fissato, ma se anche la robetta come l’arbitrato non passa, perché nelle istituzioni c’è chi deve marcare il territorio, come volete che si realizzi la liberazione del mercato del lavoro e di quello economico? Tutto si tiene, com’è evidente, ed è per questo che ripeto: non serve cercare di rallentare le iniziative riformiste della Lega, non è giusto e non è conveniente, si deve, semmai, mettere all’ordine del giorno anche il resto, dando l’impressione che c’è una politica capace di ragionare con tutto intero il cervello e non a lobi separati. Condizione nella quale il cervello è buono solo per farlo fritto, con i carciofi.

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