Economia

I soldi nella rete

I soldi nella rete

La brutta sensazione è che attorno alla rete di Telecom Italia si danzi più al suono del potere che dello sviluppo. Giulio Tremonti era stato chiaro, quando si è trattato delle banche: se ci toccherà salvarle lo faremo, ma senza per questo salvaguardare incapaci e furbacchioni, chi fallisce va a casa od in galera. Sono tutti lì, senza che questo significhi l’inesistenza di problemi. Rendere più capiente e veloce la rete di telecomunicazioni è un interesse nazionale, come salvare le banche, ma se siamo rimasti indietro non è colpa del destino, bensì delle dissennatezze e delle scorribande che hanno dominato Telecom. Ora il conto lo si presenta ai cittadini.
La rete fisica, compresa quella mobile, è necessariamente nazionale, nel senso che non può che trovarsi laddove opera. Diversa è la questione della proprietà, e gli operatori di telecomunicazioni, da noi, sono già in maggioranza stranieri. Potremmo dire che lo sono tutti, se solo evitiamo di credere che gli spagnoli di Telefonica hanno investito per beneficenza. Nel mondo delle trasmissioni digitali, del resto, abbiamo ceduto allo straniero la televisione via satellite, per giunta consentendogli un monopolio che non esiste da nessuna altra parte e viola le regole dell’Unione Europea (quelle stesse che ci tiriamo addosso quando si discute di televisione analogica, una roba del secolo scorso!). Nel nostro bislacco Paese la bandiera nazionale garrisce al vento secondo criteri imponderabili.
La rete è un interesse nazionale, perché è lo strumento capace di assicurare non solo l’efficienza delle comunicazioni, ma anche quella del mercato e della concorrenza. La rete, però, non è un vantaggio competitivo di un operatore rispetto all’altro, nel senso che è costruita secondo standard, è sempre uguale. Le reti di telefonia cellulare, Gsm, sono tutte uguali, e la ridondanza porta solo più inquinamento e maggiore spesa. Se, oggi, ci toccherà mettere dei soldi laddove Telecom non riesce ad investire, posto che quella rete è stata creata con i soldi dei cittadini, è stata svenduta ed ora sarebbe scandaloso ripagarla da capo, ciò deve avvenire in un quadro di trasparenza ed efficienza. Una volta tanto.
Si crei una società delle reti, nella quale far confluire quella di Telecom e quelle altre che vorranno, non escluse le due televisive. Gli apporti di ciascuno saranno valorizzati per quel che è giusto. Lo Stato investa, sedendo nella società senza gestirla (commettere sempre lo stesso errore è perverso), ma garantisca la parità d’accesso e l’uniformità dello sviluppo. Ciascun investimento, quello pubblico compreso, sarà remunerato nel tempo, da coloro che useranno la rete per offrire i propri servizi. Le telefonate, la fonia, per intenderci, non è un servizio e dovrà essere offerta gratis, o con bassissime tariffe fisse. Così cominciamo a restituire ricchezza a chi tanta ne ha messa una montagna: i cittadini.
Se, invece, ci si limiterà a pompare soldi pubblici nella rete Telecom, si porranno le basi per l’ennesimo disastro. La società, infatti, non regge neanche alla separazione contabile, è assente nella competizione sui servizi, e campa di protezione, assicurata anche da autorità lente e troppo “realiste”. Ogni euro messo lì dovrà essere accompagnato da altri dobloni, per evitare che uno scalatore si porti via tutto, compresi i quattrini che la Cassa Depositi e Prestiti ha tanta fretta di apportare. A quel punto ci toccherebbe sospendere le regole della contendibilità, saremmo fuori dalla civiltà del mercato ed avremo pagato tre volte la stessa cosa. Va a finire che ci danno il nobel, perché scemi o lestofanti, a seconda dei gusti.

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