Economia

I soldi non sono un problema

I soldi non sono un problema

In giro per il mondo c’è liquidità finanziaria a livelli alluvionali. Talmente abbondante da destare qualche preoccupazione. Le nostre imprese vivono, intanto, una lunga stagione di siccità. Il terreno produttivo s’è fatto duro, perché privo d’irrigazione finanziaria. Perché l’Italia vive fuori dal mondo, impermeabile alla liquidità? Il mercato italiano è pieno di opportunità d’investimento, ma il governo tedesco sta preparando un prestito da un miliardo dedicato a quello spagnolo. Questo è un punto su cui si dovrebbe studiare e non limitarsi alla superficie, in modo da proporre soluzioni concrete.

In Italia il finanziamento delle attività produttive è quasi esclusivamente dato dal credito bancario. La Borsa è asfittica e troppo facilmente manipolabile, in ogni caso inaccessibile alla vera fertilità produttiva nazionale, quella delle piccole e medie aziende. Le banche, come si sa, hanno stretto l’erogazione d’ossigeno, anche perché a loro volta vincolate da parametri di rischio stabiliti in sede europea e da una invalidante sottocapitalizzazione. Quest’ultima, del resto, è in gran parte un derivato della perversa evoluzione delle fondazioni bancarie, che dovevano essere lo strumento per le privatizzazioni e che, invece, sono divenute il luogo ove s’esercita il controllo politico, salvo non avere i soldi per ricapitalizzare, in questo modo preferendo il controllo alla crescita. A questo s’aggiunga un’ulteriore distorsione: i grandi clienti, quelli nei confronti dei quali le banche sono molto esposte, vengono tenuti artificialmente in vita anche quando sono produttivamente morti, onde evitare di dovere trasformare le sofferenze in perdite certe, mentre i più piccoli vengono condotti a morte finanziaria anche quando sono produttivamente vitali, in modo da riottenere indietro subito quel che si prestò allora.

E’ una trappola dalla quale è difficile uscire, perché non si può chiedere alle banche, contemporaneamente, di prestare più soldi e avere meno sofferenze. Ma dalla trappola può uscire il sistema produttivo, usando canali diversi, come il venture capital e il private equity. Inutile (in questa sede) addentrarsi nei tecnicismi, si tratta, in parole povere, di attività finanziarie destinate a fornire capitale di rischio. Soldi che non sono prestati, ma investiti nelle società, anche mediante ingresso nella proprietà. I soggetti istituzionali che svolgono queste attività, nel mondo, sono tanti e pingui. Detto in modo diverso: i soldi sono l’ultimo problema. Ma sono affamati di opportunità per investimenti. Opportunità, ripeto, di cui l’Italia abbonda. Eppure quei soldi non arrivano, per la seguente ragione: l’Italia ha un rischio sistemico troppo alto. Non le nostre imprese, non i nostri innovatori o ricercatori, ma l’Italia. Perché non c’è certezza del diritto, troppe complicazioni burocratiche, possibilità di sorprese fiscali e inaccessibilità della giustizia. Noi ci stiamo impoverendo per tale povertà di diritto e diritti.

Il governo può rimediare. Non ci vuole una settimana, ma in un mese si fa. Serve un testo unico da offrire agli investitori come riferimento omnicomprensivo dei diritti e dei doveri, con l’assicurazione che non muterà (se non in alleggerimento) per due o tre lustri. Tradotto in inglese. Non convegni, per carità: bastano tre giuristi non bolsi e non scemi. Per le controversie eventuali si deve offrire una camera arbitrale a immediata accessibilità. Per il disbrigo di eventuali questioni burocratiche si deve approntare un punto unico di coordinamento nazionale. Della serie: ti serve un permesso per allargare gli uffici o il sito produttivo? Un certificato per le esportazioni? Ti rivolgi direttamente a un ufficio governativo, perché hai pagato, hai portato soldi, sei un benemerito, e in 48 ore ti facciamo sapere se si può fare o meno, se la risposta è positiva ti aiutiamo senza lasciarti in balia dell’asl di vattelapesca.

Si può. Guardate che si può. Basta responsabilizzare e premiare (quindi anche licenziare chi è incapace). E basta questo, che è poco, davvero poco, per chiudere l’ombrello dell’ottusità e godere della pioggia di liquidità da cui oggi il mondo è battuto. So benissimo che ciascun lettore ha già un’obiezione e tutti lo considerano impossibile. Ebbene, è esattamente questo che sta riducendo l’Italia a terra di declino e malumore: il non credere che si possa fare quel che è possibilissimo fare.

Pubblicato da Libero

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