Qualcuno avverta il governo che la rete di telecomunicazioni è aperta e regolata in modo da favorire la concorrenza e tutelare la sicurezza nazionale fin dalla fine degli anni ottanta. Suggerisco, anche a molti commentatori, un collettivo corso di recupero per evitar d’accattare figure terribili, come in questi giorni.
La proprietà della rete può essere in capo al pubblico od al privato, all’autoctono od allo straniero, le regole per l’accesso saranno sempre le stesse. Sono norme europee, ed il guaio italiano è che già non le conoscono al governo ed in Parlamento, ma nemmeno presso le Autorità di controllo.
Oggi tutti a dire che si deve fare la società delle reti, ma sono gli stessi che non danno applicazione alle direttive europee e, come la stessa Agcom ha indicato, se voglio fare l’operatore mobile virtuale mi dicono di andare a fare l’accordo con uno dei gestori esistenti. Il che significa che non hanno capito niente: la rete aperta serve a tutelare la competizione, quindi il consumatore, ma loro hanno in testa di tutelare il potere della rete, che in parte non esiste, ed in parte si concreta nel mercato degli acquisti. Messa così la società delle reti sarebbe un passo indietro proprio perché nascerebbe al fine di difendere il passato dall’innovazione e far prevalere lo statalismo sulla regolazione. Andare avanti, invece, significa prima di ogni altra cosa far rispettare le regole che già ci sono e, poi, dare applicazione a quelle che prevedono nuove aperture, con ciò stesso facendo divenire la rete fissa una struttura d’appoggio, utile ma non unica e decisiva.
Ascoltando le tante corbellerie che si dicono si ha la conferma del ritardo non solo imprenditoriale e politico, ma anche culturale del ceto dirigente italiano. Invece di proporre nuove leggi, per dare più poteri ad Autorità che non sanno usare neanche quelli attuali, si dovrebbe spostare l’intero problema in una dimensione europea, approfittando del fatto che le normative già esistono e puntando a creare utilizzatori di rete che si candidino ad essere predatori e non prede, nei mercati mondiali. Dai molti errori commessi (da Prodi e da D’Alema, perché la storia delle privatizzazioni si deve raccontarla tutta) si potrebbe trarre lezione. Ma l’impressione è che parli solo chi non studia la materia.