L’eterno cantiere delle pensioni (si dovrà pur finirla di smanacciarle in continuazione) s’appresta a edificare un mostriciattolo: la relazione fra la reversibilità e la ricchezza familiare, misurata con l’Isee (indicatore situazione economica equivalente). In questo modo si corrono seri rischi e non si sistema la faccenda una volta per tutte. Come, invece, si potrebbe fare.
La reversibilità consiste nel maturare un diritto pensionistico in quanto coniuge di un lavoratore defunto. La pensione è pagata al 60% se si tratta di una sola persona; all’80 se con un figlio a carico; al 100% se con due o più figli a carico. Si comincia a tagliarla, comunque, se superiore a 1500 euro mensili. Si vorrebbe cambiare, prendendo in esame la ricchezza familiare: se i superstiti possono mantenersi, fine della reversibilità, altrimenti a salire, fino alla loro indigenza e alla pienezza del pagamento. Metodo sbagliato, perché non affronta il cuore del problema: se il lavoratore ha versato contributi tali da reggere il peso della reversibilità (posto che è stato obbligato a farlo, con quella compresa e assicurata), non si vede perché togliere qualche cosa a una famiglia che si è “arricchita” d’altro, ma che per decenni è stata “impoverita” dall’obbligo di quei versamenti; se, invece, i contributi versati non reggono nulla, allora la faccenda trasloca dal previdenziale all’assistenziale, talché si paghi pure il pane ai bisognosi (dopo essersi accertati che siano tali), ma non la si chiami pensione, bensì assistenza. Il tutto, naturalmente, a valere sulle pensioni future, perché intervenire su quelle in pagamento servirebbe solo a diffondere il panico.
Ma visto che parliamo delle pensioni future, invece di industriarsi a tagliare il più possibile la reversibilità, salvo, contemporaneamente, allargarne i benefici anche alle coppie di fatto, con due condotte all’evidenza contraddittorie, si potrebbe ragionare in modo totalmente diverso. La reversibilità, del resto, è legata a un modello sociale e produttivo che abbiamo alle spalle. L’idea che uno dei coniugi rimanga ad accudire il focolare, nel mentre l’altro procura il reddito, è rifiutata sul piano culturale e praticata, semmai, per disperazione, ovvero per mancanza di lavoro. Si abbassi, piuttosto, il prelievo previdenziale obbligatorio, legandolo a un livello pensionistico considerato il minimo accettabile, lasciando ciascuno nella condizione, anche economica, di scegliere come utilizzare i soldi in più che si troverà in tasca. Se vorrà risparmiarli e usarli per la sicurezza familiare, integrando la propria pensione e finanziandone l’estensione al coniuge, in caso di morte, potrà essere premiato e agevolato, sia sul piano fiscale che di contributi pubblici (se metti 1 ti accredito un altro 0.5, ad esempio). A quel punto il sistema diventa razionale e sostenibile, senza il bisogno che, per far le cose ipocrite oggi, si sia costretti a reintervenire già domani mattina.
Ogni anno, in Italia, 5mila masculi attempati sposano volenterose giovini straniere. Sarà il fascino della saggezza, ma più verosimilmente è quello della reversibilità. Solo che, in quel modo, che sia un patto d’amore o di mera assistenza, viene stipulato scaricandone sulla collettività un consistente costo futuro, considerato che le giovani vedove saranno pur affrante, ma destinate a lunga vita, magari tornando a casa loro. Ha un senso porre un freno. Non lo ha pensare di farlo usando l’Isee, perché in quel modo si corre il serissimo rischio di togliere il dovuto a chi se lo pagò per darlo a chi neanche se lo sognò. Quel tipo di socialità che somiglia troppo alla dilapidazione dei soldi altrui.
Pubblicato da Libero