Economia

Il ritorno dello spread

Il ritorno dello spread

Riecco lo spread, ma non ha nulla a che vedere con quello che cominciammo a conoscere nell’estate del 2011, portando al cambio di governo a novembre e mesi dopo era ancora lì, minacciosamente alto. Lo spread è un indice, la misura della distanza dal tasso d’interesse più basso (tedesco) pagato per vendere titoli del debito pubblico. E’ solo un sintomo. Pensare che dica sempre la stessa cosa è come supporre che la febbre abbia sempre la stessa causa. Non solo può essere più alta o più bassa, ma avere origini diverse. Confondere i sintomi con le malattie e le cause con gli effetti spiana la strada verso la lapide.

Allora la causa era il difetto strutturale dell’euro, l’avere una sola moneta per contabilizzare debiti pubblici diversi, venduti a tassi d’interesse diversi. Quel difetto consentiva di premere su alcuni Paesi, chiedendo interessi deliranti, da qui la divaricazione degli spread. Quella malattia non l’abbiamo curata, è ancora lì, ma, in compenso, la Bce ha iniettato nelle vene del mercato un potente sintomatico, capace non di debellare la causa, ma di ridurre notevolmente l’effetto. Mario Draghi ha detto innumerevoli volte che la politica monetaria non poteva bastare. Qui abbiamo abusato della pazienza altrui scrivendo e riscrivendo che la Bce aveva comprato tempo, ma che sarebbe servito a poco se lo si sprecava facendo finta di credere che la tempesta era passata. Rieccoci.

Lo spread di oggi è ancora a livelli contenuti. Non suonano gli allarmi. Ma non ha nulla a che vedere con quello del 2011, perché la Bce continua a pompare il sintomatico. Da dove arriva, allora? Credo che muova dalla constatazione che i governanti europei non hanno capito la lezione e ripetono sempre gli stessi errori. In questo caso trattando di banche. Creare lo spazio bancario europeo è stato saggio, talché le banche devono sempre di più avere un orizzonte continentale. Adottare la vigilanza comune, mettendola in capo alla Bce è una buona cosa. Le regole generali, comprese quelle in caso di fallimento, si confermano buone, comunque migliori delle precedenti, ma, ancora una volta, risentono di un eccessivo automatismo. Governare significa scegliere, non si può pensare di eliminare questa funzione, assegnandola a un meccanismo. Alcuni Paesi arrivano in ritardo, altri eccedono in egoismo, e, anche questa, è la solita zuppa. Ma poi arriva il macigno: l’Italia vara un decreto, a novembre, con cui afferma di volere salvare quattro banche e innesca un gran casotto, fornendo al mercato parametri avvelenati per valutare i crediti deteriorati; la Germania si sveglia una mattina e dice che è bello avere costruito tutto questo assieme, ma non intendono versare i soldi nel fondo a tutela dei depositi, se non dopo essersi assicurati che tutto funziona a dovere. Gli italiani arrivano un mese prima del termine ultimo, e pasticciano pateticamente, i tedeschi guardano la vettura ideata e costruita assieme, ma affermano che ci metteranno i freni solo dopo avere visto funzionare il motore. Il mercato osserva la scena e scommette sull’implosione o sull’esplosione, sul fermo o sull’incidente.

Non bastasse questo ci si è affannati a dire che il sistema bancario è sano (lo hanno detto tutti, anche quelli ricoverati al sanatorio), ma le difficoltà derivano dalla lunga crisi. I mercati osservano, vedono che dopo la lunga crisi c’è solo una fiacca ripresa, per lo più grazie alle scelte della Bce, e deducono: a credere alle vostre parole ne deriva che i problemi delle banche rimarranno, se non cresceranno. Da qui i crolli in Borsa e la corsa a prendere titoli che, almeno, conservino il capitale, anche a costo di rimetterci qualche cosa, a causa dei tassi bassissimi, quando non negativi. Così lo spread si riapre. Meno di quanto avvenne nel 2011, almeno per ora, ma la voragine sottostante è più profonda, perché, a questo giro, non può arrivare Draghi e fare la magia. Tocca ai governi, tocca mettere mano alle regole, tocca modificare le condotte.

Guardi i governi e vedi tanta gente intenda a dire cose prive di senso compiuto, indirizzate a raccattare qualche grammo di consenso in più. Poi senti che il presidente Usa ci offrirebbe una mano nel fronteggiare l’immigrazione. A noi che siamo la zona più ricca del Mondo. Loro che hanno le reti al confine messicano. La lezione non è stata capita. E va già di lusso se lo spread non smette di rispondere alle siringate dell’infermiere Bce.

Pubblicato da Libero

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