Economia

Il salotto taroccato

Il salotto taroccato

Oh come gemono le buone famiglie il cui salotto sarebbe stato violato. Ma io non ne conosco una, una sola, di buona famiglia che sieda nel salotto del Corriere della Sera. Anzi, guardo quell’assetto societario e mi dico: ecco come non dovrebbe essere un editore. Tutta gente che ha altri interessi, tutta gente che non esita ad utilizzare il blasonato quotidiano per difenderli.

Possono essere scalati, non possono essere sverginati. Ma è poi vero che possono essere scalati? Tecnicamente sarebbe impossibile, anzi, tecnicamente respingere l’attacco di Ricucci sarebbe la cosa più semplice del mondo: il patto di sindacato possiede più della metà delle azioni, ed il giovanotto (con tutti gli appoggi su cui si può fantasticare) solo il venti per cento, è, quindi, sufficiente che la proprietà ritiri la società dalla Borsa (delisting) e rimborsi Ricucci. In un sol colpo si “salva” il Corriere e la patria. Perché non lo fanno? Perché i signori del salotto buono sono non capitalisti, ma intestatari di debiti, e non intendono spendere una lira in più per tenersi il giornale.

Si comportano così solo con il quotidiano? Ma no, fanno così con tutto, ed è questo uno dei motivi per cui, in Italia, tutto pencola e rischia di schiantarsi. Ci salverà Ricucci? Non diciamo sciocchezze. Il ragazzone non è l’avversario genetico di questo tarocco capitalismo italiano, ne è, semmai, l’ultima incarnazione, il compimento evolutivo, o, meglio, involutivo. I suoi soldi valgono quanto quelli degli altri (e, come per tutti, sarebbe bene non avere dubbi sul processo d’accumulazione); i suoi debiti pesano quanto quelli degli altri; egli è un “capitano coraggioso” quanto quelli che, la sinistra plaudente, si portarono via, a debito, la Telecom. Purtroppo anche i suoi piani industriali valgono quanto quelli degli altri, e cioè una cicca.

Una volta il sistema bancario reggeva i debiti e gli interessi del salotto buono, con la Banca d’Italia che s’era ritagliata il ruolo di monito severo e non condizionabile. Ora le cose sono più plurali (e questo è un bene), con il risultato che dietro gli uni e dietro gli altri s’agita un mondo di commistioni e conflitti d’interesse, dove nessuno può più essere severo, né ha l’autorità per lanciare moniti.

A voler vedere il lato positivo delle cose ci si può attaccare ai conflitti, alla competizione, alla pluralità, e pensarli tutti come l’annuncio di un nuovo giorno ed un nuovo mercato. A volere essere realisti non si può non vedere che quel coacervo d’interessi illegittimamente ed irregolarmente sostenuti sta soffocando quel che c’era del capitalismo italiano. In ogni caso, la competizione finanziaria e di potere continuata con le armi della procura è l’annuncio certo della fine.

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