Economia

Il satanismo da i numeri

Il satanismo da i numeri

Il satanismo fiscale ha perso la bussola. Dal ministero dell’economia e dall’agenzia delle entrate continuano ad arrivare dati sparati in modo da soffiare sul fuoco del disagio sociale, alimentando il senso di rabbia e disfacimento che la crisi già rende pericoloso. Dati che vengono diffusi (e riprodotti) senza neanche avvertire il loro contraddirsi, privilegiandone la funzione aizzatoria. Dunque: fino all’anno scorso l’urlo del fisco demoniaco consisteva nel segnalare che i dipendenti guadagnavano più dei datori di lavoro; quest’anno va di moda lo strillo opposto, con i datori di lavoro che guadagnano fino a sette volte più dei dipendenti. Escluso che la realtà sia cambiata così radicalmente, si fatica a credere che la fonte sia la medesima. Eppure è così.

I dati precedenti, frutto dell’esame delle dichiarazioni dei redditi, erano sparati con semplicismo e grossolanità. Fra gli “imprenditori” si dovevano considerare anche i piccoli artigiani, compresi i calzolai con un dipendente, mentre fra i “dipendenti” vanno considerati anche i burocrati addetti ai dati fiscali, che guadagnano più di un piccolo imprenditore e avranno pensioni che gli autonomi non possono neanche sognare. A questo si aggiunga che in anni di crisi e difficoltà non pochi sono i piccoli imprenditori che si fanno in quattro per pagare il dovuto ai loro collaboratori, rinunciando a prendere per sé. Vuoi perché la cassa non lo consente, vuoi per reinvestire. Il tutto senza dimenticare che nelle grandi imprese il “datore di lavoro” è spesso una società, magari una finanziaria con sede all’estero, il cui reddito, in ogni caso, non rientra fra quello delle persone fisiche. Ovvero le uniche prese in considerazione. Quindi andare in giro a sostenere che i lavoratori dichiarano più degli imprenditori era largamente inesatto e destinato solo a far schiumare la rabbia.

Ciò, ovviamente (e ripugna anche solo doverlo aggiungere), non significa che non ci sia evasione fiscale, né serve a negarlo. L’evasione c’è, a tutti i livelli. Va combattuta, ma sapendo anche che spesso sarà una guerra contro i poveri, non una campagna contro i ricchi profittatori.

Quest’anno la fotografia si ribalta, con i dipendenti che guadagnano da tre a sette volte meno dei datori. Il che sembra ragionevole. Se non fosse che non sono dati derivanti dalle dichiarazioni, ma dagli studi di settore. E’ come se l’amministrazione fiscale italiana dicesse: secondo i nostri studi la realtà non è manco parente dei dati che riceviamo. Oppure: i dati che vi diamo non sono coerenti fra loro, ma gli studi che facciamo non riusciamo a conciliarli con i comunicati stampa che diramiamo. In ogni caso: non sappiamo che farci.

Posto che il 55% dei lavoratori dipendenti presta servizio presso società per azioni, società a responsabilità limitata e società cooperative, il 10% sono occupati  presso ditte individuali, l’8 presso società di persone, il 7 in enti pubblici, il 6 in altre organizzazioni senza personalità giuridica e il 4 in enti e istituti di previdenza e assistenza sociale, è del tutto ragionevole che la retribuzione di chi lavora e rischia denaro proprio sia più alta di chi presta la propria opera in un rapporto di dipendenza. Non è per niente ovvio, invece, che la comunicazione si ribalti in anni in cui i redditi totali si contraggono (6% nel 2012 rispetto al 2011, e ancora di più nel 2013), con i redditi da lavoro autonomo che non solo subiscono il colpo più forte, ma sono totalmente estranei agli sgravi fiscali (i mitici 80 euro) dati ad alcune fasce di reddito dipendente.

Da tutto questo deriva una buona notizia: il commissario per i tagli alla spesa pubblica ora sa che può tagliare a fondo nell’amministrazione che produce i dati. Ma sorge un dubbio: che fine ha fatto il commissario Cottarelli? Noi si era qui, pronti a essere fastidiosi nel sostenere che sarebbe stato troppo poco. S’è appannato il poco, però.

Pubblicato da Libero

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