Economia

Il totem dell’Imu

Il totem dell'Imu

L’Imu è diventato un totem, una palo simbolico cui si danza intorno. Chi per trovare la propria identità e chi per far cadere il governo. A forza di danzare si perde anche l’orientamento, oltre che la memoria. Il che induce lo sciamano democristiano, il grande capo Letta Enrico, a esser fiducioso nel supporre di potere cucinare i danzatori uno a uno, nel lento fuoco della perdita di tempo. Oggi tutti guardano sul fronte destro, dove chi ha dissotterrato l’ascia di guerra non otterrà quel che chiede, ma ci si è distratti sul fronte sinistro, dove certamente subiranno quel che hanno ufficialmente detto di non accettare: il decreto legge.

Nell’Imu si concentrano diversi drammi, a cominciare dal fatto che si tratta di un balzello sotto falso nome: la “u” sta per unica, mentre non è unica proprio per niente. Questo travestimento induce anche in errore, tanto che taluni giurano che la patrimoniale sugli immobili, in Italia, è inferiore alla media europea. Il che non è vero, proprio perché si somma ad altri prelievi. A questo si aggiunga che viene calcolata su una base farlocca, visto che i valori catastali sono immaginifici, talora capovolgenti la realtà del mercato, mentre il catasto è il regno della polvere e di un’amministrazione che sarebbe stata considerata arretrata un secolo fa.

Partendo da questa premessa è difficile far qualche cosa di buono. Il governo Berlusconi la concepì come imposta federale, destinata a finanziare gli enti locali (“m” sta per municipale). Il governo Monti interpreto diversamente la citata “m” e la trasformò in mungitrice a favore dello Stato centrale. Lasciamo perdere il federalismo, che forse si può farla finita con quella roba, ma l’idea che i bisogni locali siano finanziati in sede locale, mettendo nelle stesse mani la responsabilità dell’imposizione e della spesa, gravando sui patrimoni in ragione dei costi collettivi che comportano, è giusta. La cosa grottesca, però, è che in un gioco politico normale noi dovremmo avere la destra che propone di gravare il meno possibile sulle imprese e la sinistra che prova a difendere i consumatori, invece abbiamo la destra che reclama la detassazione della prima casa. Non ne faccio una questione morale, che del moralismo fiscale ho piene (anzi: vuote) le tasche, ma segnalo quanto il caos confonda le idee. Nella sostanza, comunque, il gettito Imu è pari a 24 miliardi l’anno, di cui 4 vengono dalle prime case. Non vedo perché sarebbe risolutivo cancellare i 4 (che non lo saranno) e lasciare i 20, posto che in alcuni settori, come quello agricolo, sono più che sufficienti per portare fuori mercato non pochi produttori.

Dice la sinistra: lasciamo l’Imu ma esentiamo i redditi bassi. Una bella gara: la destra che propone di cancellare l’imposta e la sinistra gli imposti, ma intente ad azzuffarsi. Segnalo, però, che in Italia sono tutti redditi bassi, tranne uno sparuto drappello di masochisti fiscali. Segnalo, inoltre, che le patrimoniali si commisurano al patrimonio, non al reddito. Insomma, ballano attorno al totem ma non sanno più, da una parte e dall’altra, che cavolo di danza stanno facendo.

Da qui il sorriso sornione dello sciamano: rimandiamo tutto, approfondiamo, non cancelliamo, ma ripensiamo. Semmai mancassero soldi li prendiamo da un’altra parte. Così saranno contenti le capre e i cavoli (scelga ciascuno come distribuire le parti), salvo il fatto che a pagare saranno, più o meno, le medesime tasche. Gliecché, però, per potere buttare la palla in tribuna occorre un decreto legge. E si deve farlo subito, domani, altrimenti tocca fare i conteggi tre volte, buttando soldi e tempo. E gliecché, oibò, la senatrice Rosy Bindi, presidente dimissionario della direzione pdinna, di cui lo sciamano era vice, nel corso del dibattito sulla fiducia fu urticantemente chiara: Letta, già mi piaci poco, non t’azzardare a far decreti.

Come andrà a finire? E chi vi dice che andrà a finire? Andrà nel calderone del sistema fiscale da rimodellare, della pressione da far diminuire, senza che questo comporti diminuzione delle entrate né affievolimento del rigore, il tutto in un quadro di maggiore sviluppo che non significa abbassamento della guardia, tenendo anche presente che … Vabbe’, ci siamo capiti.

Pubblicato da Libero

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