Economia

Il verso dell’avvoltoio

Il verso dell'avvoltoio

Prima era agghiacciante, ora è devastante. Il decreto legislativo nato sotto al titolo “certezza del diritto” non riesce ad assicurare neanche la certezza della data, in compenso è già garantito che per inseguire quella certezza si dovrà venire meno a quanto prevede la legge, ovvero la scadenza della delega fiscale, fissata al prossimo 27 marzo. Un anno di tempo non è stato sufficiente al governo, altrimenti noto per voler fare tutto velocemente e a passo di carica. Prorogare è meglio che perdere del tutto l’occasione di riformare, certo. Ma guai a far finta di non capire cosa questo significa.

Il problema non è il tempo interno, quello che si perde rinviando ancora. Il problema è il tempo esterno: se neanche la delega fiscale prende corpo, essendo un atto governativo e non dipendendo dalle maggioranze parlamentari, vuol dire che attraverseremo l’anno iniziato, che già si consuma, fidando solo sulle spinte esterne, senza coinvolgimenti economici e legislativi interni, e ciò porterà a chiuderlo senza modificare le previsioni, che ci vedono in crescita meno della metà dell’eurozona. Non è robetta, è robaccia.

La semplificazione fiscale, essenziale per la crescita quanto la discesa della pressione, è direttamente connessa alla materia degli accertamenti, della certezza del diritto, della giustizia tributaria, del coinvolgimento penale e delle modalità di riscossione. Tutto questo è rinviato a maggio. E pur volendo tacere l’inguardabile sfregio di un decreto approvato dal Consiglio dei ministri, lo scorso 24 dicembre, e poi sparito (altra violazione della decenza e del diritto, in nome della sua certezza), resta il fatto che decretare a maggio significa avere rinunciato a vedere i risultati delle novità nel 2015. Nel frattempo continueranno a essere avviati procedimenti penali che poi cadranno nella zona delle depenalizzazioni, quindi a far svolgere lavoro inutile, intasando la giustizia e sottraendo risorse ad altri procedimenti. Il tempo perso non è solo guadagno mancato, ma anche spesa sprecata.

La delega fiscale, e il conseguente riassetto della materia, è anche l’occasione per non rendere devastanti gli effetti del reverse charge iva. E’ una materia che a molti non dice nulla, ma i cui effetti riguardano tutti. In settori che vanno dalle costruzioni alle forniture verso la pubblica amministrazione, puntando anche a quelle verso la grande distribuzione (i supermercati, si attende solo il via libera Ue), l’iva non è più messa nella fattura che il cliente paga, quindi incassata dal venditore e successivamente riversata all’erario, ma scorporata da quella e versata dal cliente direttamente al fisco. Apparentemente non cambia nulla, ma nella realtà cambia tutto, perché i fornitori si ritrovano con il 22% in meno di cassa, sebbene per cifre da gestire finanziariamente e dover poi sborsare. Ciò li porta, tutti, ad andare pesantemente a credito d’iva. Poco male, se non fosse che lo Stato non paga i suoi debiti, che consistono in quei crediti. Quindi l’iva diventa, per quelle società, un costo, da sopportare per un tempo troppo lungo. In queste condizioni saltano.

Nei gironi scorsi abbiamo parlato di quella che, impropriamente, è chiamata “Bad Bank”, in pratica uno strumento per sgravare le banche di crediti incagliati e deteriorati, in modo che possano fornire più credito al sistema produttivo. Ma il rischio grosso è che il maggior credito, che non sarà certo un pozzo senza fondo, andrà a finanziare proprio l’inefficienza dello Stato: che prende e non restituisce, non paga e ritarda le riforme. Quel credito, dunque, almeno per sua parte consistente, non genererà produzione e sviluppo, ma galleggiamento in attesa che l’elefante statale decida di togliere le terga dal groppone di chi lavora. E mentre questa attesa consuma le settimane, i mesi e gli anni, i concorrenti che lavorano in altre parti dell’eurozona (non dico mica in Asia, no, qui in Ue) si muovono con meno zavorre e pesi morti. Ecco (anche) perché cresciamo la metà degli altri.

La notizia è: in campo fiscale possiamo ancora aspettare fino a settembre, sicché gli effetti si vedranno nel 2016, quando, secondo i dati della Commissione europea, che abbiamo già pubblicato, il nostro svantaggio relativo si sarà ulteriormente accresciuto. Non s’è mai capito cosa significhi “cambiare verso”, ma temo questo sia il verso dell’avvoltoio.

Pubblicato da Libero

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