Economia

Ilva, 10 senza lode

Ilva, 10 senza lode

Il disastro ambientale è ancora da accertare, mentre quello legislativo è sotto gli occhi di tutti. Proprietari e dirigenti dell’Ilva sono stati arrestati nel luglio del 2012, supponendosi un disastro ambientale. Emilio Riva, fondatore e capo, è morto da detenuto in custodia cautelare. Il processo non è ancora iniziato. In compenso, da allora a oggi, sono stati fatti 10 decreti legge. Uno ogni quattro mesi. Uno di quelli servì per espropriare l’Ilva e affidarla a commissari nominati dal governo. Fu necessario un decreto perché la legge esistente non avrebbe consentito un esproprio “normale”, non ricorrendone le condizioni. Il decreto era urgente perché urgentissimo il risanamento ambientale, che non solo non si è ancora fatto, ma ora si stabilisce potersi fare in ancora 18 mesi. Se fosse un romanzo non troverebbe editori, data l’assurdità della trama. Invece è la realtà.

Tanti decreti sono serviti a bloccare l’azione dei magistrati inquirenti: loro sequestravano e i decreti dissequestravano. La Repubblica contro la Repubblica. In un sistema razionale si sarebbe ragionato in modo diverso: se i sequestri sono legittimi, non si vede perché fare leggi su leggi per bloccarli; se sono illegittimi non si deva cambiare la legge, ma i procuratori. Affastellando norme, invece, non sapremo mai come stanno le cose. Non sappiamo ancora, del resto, se il lavoro dell’Ilva fa male oppure no. Ci sono perizie in un senso e nel senso opposto, compresa l’ipotesi che l’inquinamento più nocivo lo facciano altri, in quella stessa area. Se fosse vero ne deriverebbe che l’acciaieria è stata danneggiata, mentre l’inquinatore pericoloso è ancora all’opera. Ma se è vero non lo sappiamo, occorrerebbe un giudizio, che è di là da venire. Una cosa la sappiamo, però: l’Ilva rispettava l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale (“integrata” sta a dire che riguarda tutti gli aspetti), tanto che non ci sono accuse per averla violata. Non solo: i governi che si sono succeduti hanno ribadito che nel rispetto dell’Aia non si correvano rischi, difatti decretavano perché il lavoro continuasse. E allora? E allora ci rivediamo quando ci saranno le sentenze. Mettetevi comodi, mancano lustri.

Nel decreto di nomina dei commissari s’inserì un gustoso codicillo: essi non sono penalmente responsabili per quel che fanno. Vi pare normale? Non lo è, ma era necessario, perché il precedente commissario era già stato indagato, sempre supponendosi esistere il reato ancora da dimostrarsi. I nuovi, quindi, li si scudava. Ancora una volta: in un sistema sano si stabilisce cosa è lecito e cosa no, in un sistema squilibrato, non sapendolo, si dispensano immunità. Il decreto numero 10 estende tale immunità anche agli amministratori futuri. Pensate all’assurdo: prima compero una macchina di seconda mano, con la quale il precedente proprietario si suppone avesse arrotato un passante; poi m’incriminano per pedonicidio, dato che guido quella macchina, pur avendola avuta dopo; infine, per poterla rivendere, faccio un decreto, stabilendo che chi la possiede e guida non è perseguibile, ove spiaccichi altri bipedi. E sapete chi era il primo proprietario, della vettura e dell’Ilva? Lo Stato. Ovvero lo stesso soggetto che ha impostato quel tipo di produzione, amministrato l’espansione territoriale, consentendo che le abitazioni entrassero dentro l’area produttiva, ha posto le condizioni ambientali da rispettarsi, ha accertato che erano rispettate, ha arrestato chi aveva poi comprato lo stabilimento, per poterlo mantenere funzionate ha emanato 10 decreti e, a oggi, non ci ha ancora detto se qualcuno, e chi, ha commesso dei reati, e quali.

Innanzi a cotale meraviglia c’è che quello stabilimento era citato nei documenti della Commissione europea, come buon esempio, dato che investiva molti soldi in salvaguardia ambientale. Però c’è anche un dettaglio: la produzione europea d’acciaio era eccedente. Risolto il problema, spezzando le gambe all’Ilva. Con gran sollazzo dei concorrenti tedeschi, degli indiani e dei cinesi. Il patrimonio netto distrutto è pari a 4 miliardi, mentre l’industria italiana che usa acciaio (e noi siamo i secondi e talora, in alcuni comparti, in primi, in Europa) l’ha trovato da altri fornitori. Alla lunga questo comporta un sovrapprezzo di 50 dollari a tonnellata.

A chi, lo Stato, nuovo e vecchio proprietario, vuol vendere l’Ilva? A loro. Che hanno posto due condizioni: pagare poco e avere lo scudo che ebbero i commissari. Provate a compare qualche cosa in quei Paesi, chiedendo di potere non rispettare le loro leggi penali e di non procedere subito a un risanamento ambientale considerato urgentissimo nel 2012. Ma prima fate testamento, giusto perché le vostre ultime parole non siano pronunciate da detenuti.

Pubblicato da Libero

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