Economia

Immobilismo dissanguante

Immobilismo dissanguante

Un demone possiede Fabrizio Saccomanni, ministro dell’economia, spingendolo ad aprire bocca quando sarebbe saggio cucirsela. Può capitare a quanti hanno passato una vita senza essere riconosciuti neanche dai vicini e si ritrovano, d’un tratto, con cento microfoni davanti alla bocca: prima esordiscono con un “sa – sa – prova”, poi si lanciano in un canto che non finisce, neanche quando i riflettori prendono a puntare da un’altra parte. Non metterebbe conto occuparsene, se non fosse che ballano gli interessi dell’Italia. Se non fosse che, in questo modo, si rinuncia a far contare i nostri punti di forza. Che sono molti.

Siamo il Paese europeo con il più alto e longevo avanzo primario. Il nostro debito pubblico, in questi anni di crisi, è cresciuto assai meno di quelli altrui. Resta troppo alto, ma siamo quelli che lo finanziano di più dall’interno, quindi, in percentuale e fra i grandi paesi, i meno debitori all’esterno (e Marco Fortis ha giustamente sottolineato che descrivere come inaffidabile il nostro debito serve a dirottare i soldi verso i debiti altrui, Francia e Germania fra i primi). Siamo i terzi contribuenti per gli aiuti ai paesi europei in difficoltà. Prestiamo denaro ai greci finanziandoli, mentre i tedeschi guadagnandoci. Abbiamo il più alto rapporto fra patrimonio e debito complessivo, quindi siano debitori affidabili. Eppure mandiamo in Europa ministri che sembrano vergognarsi di venire dall’Italia. Accettano d’essere subalterni, tradendo i nostri interessi. Sembrano elemosinare comprensione, laddove dovrebbero rivendicare la solidità della nostra posizione.

Gerard Schröder, socialdemocratico ed ex cancelliere tedesco, ha ieri detto due verità: a. Angela Merkel ha commesso errori madornali e va fermata; b. le riforme del mercato si possono fare in deficit (così come in deficit le fecero i tedeschi). I merkeliani italici, invece, stanno praticando l’immobilismo in surplus. Che è disciplina suicida.

Abbiamo due vene aperte, che ci dissanguano: 1. un debito pubblico troppo alto; 2. una partecipazione al lavoro e una produttività troppo bassa. Il primo va abbattuto con le vendite di patrimonio pubblico. Lo hanno ripetuto Alesina & Giavazzi, ma lo diciamo da tanto di quel tempo che non ci si ricorda più chi e quando fu il primo. Né è rilevante. Lo si faccia. Più tardi si procede e più sangue si spreca, costandoci 85 miliardi l’anno d’interessi (con un programma di riduzione di un terzo il costo del debito diminuisce in modo più che proporzionale). La seconda questione, quella del lavoro, merita riforme come quelle che fece Schröder, non potendo continuare ad avere 22 milioni d’italiani che ne mantengono 38. Né serve a nulla litigare scioccamente sulle misurine camomillesche, come quelle relative agli aiuti per il lavoro dei giovani: ogni trimestre si fanno, in Italia, più di 2 milioni di nuovi contratti (500mila a tempo indeterminato; 1 milione 700mila a tempo determinato e 80mila di apprendistato), se le misure del governo raccattano 13mila domande sono un insuccesso, tanto più che è ragionevole supporre non siano aggiuntive rispetto ai dati appena ricordati. All’opposto: l’Inps chiede indietro i soldi a chi assunse i licenziati, visto che la “piccola mobilità” (introdotta nel 1993), non è stata finanziata per il 2013.

Saccomanni forse non se ne rende conto, ma la sua loquacità è nociva. Dire che forse si dovrà pagare la seconda rata Imu è come comunicare alle autorità europee che la legge di stabilità loro consegnata è una burla. Il che è anche vero, ma non è il caso di certificarlo. Battibeccare con l’Istat sulla previsione di crescita del pil è puerile: il governo sostiene, per il 2014, che cresceremo dell1.1%, l’Istat dello 0.7, posto che la media delle previsioni porta al dato Istat non è che quello 0.4 fa la differenza, perché per sostenere un debito che non si comprime dovremmo crescere, per anni, più del 3%. Che, in queste condizioni, non sta né in cielo né in terra. Infine: dire che la pressione fiscale diminuisce, grazie alle misure del governo, come va ripetendo un Enrico Letta stralunato e furbastro, significa non solo negare l’evidenza dei numeri, nascondere le addizionali locali e occultare che abbiamo e continueremo ad avere il total tax rate più alto d’Europa (e non solo), ma far finta di non sapere che l’intera legge di stabilità si regge sulle clausole di salvaguardia. Le tasse aumentano di già, figurarsi quando scatteranno!

La questione rilevante è una sola: avviate le riforme e posti i punti di forza prima ricordati, si ha il dovere e il diritto d’imporre una diversa dottrina dei conti europei. La prima cosa (le riforme) è condizione e premessa per la seconda. Ha ragione Schröder. L’immobilismo in surplus, quindi, non è un modo per galleggiare, ma per affondare.

Pubblicato da Libero

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