Economia

Imprese che (non) sgommano

Imprese che (non) sgommano

Piuttosto che delle grandi imprese che sono sul mercato occorre preoccuparsi di quelle piccole e medie che rimangono fuori dal mercato. Piuttosto che dolersi per la sorte, da ultimo, di Pirelli, sarebbe meglio lavorare affinché altri campioni imprenditoriali italiani possano affermarsi nei mercati globali. Il problema non sono le gomme Pirelli, ma le imprese che non riescono a sgommare. Il nostro guaio non sono le proprietà che migrano, ma la permanenza di un sistema fiscale, creditizio, borsistico, legislativo e regolamentare che sembra fatto apposta per le coltivazioni bonsai. Così procedendo resteranno solo tre grandi gruppi italiani, con dimensioni globali, o, almeno, non rionali: Eni, Finmeccanica ed Enel. Tre gruppi di Stato. Tre figli delle partecipazioni statali. Come a dire che non siamo mai entrati nel ventunesimo secolo.

Pirelli è un gigante solo visto in scala italiana. In scala globale è un gruppo importante, ma piccolo. Aveva due prospettive: crescere per competere o vendersi per non essere sopraffatto. Ha preso una via intermedia: s’è venduto per crescere. Bene così. Intanto perché è un gruppo privato, sicché gli amministratori rispondono delle loro scelte agli azionisti e al mercato. Poi perché il tirare a campare prima di stramazzare non era certo nell’interesse del nostro mercato interno e delle capacità produttive italiane. Steso un pietoso velo sull’avventura in Telecom Italia, non c’erano molte altre scelte. Dobbiamo allarmarci per i capitali cinesi? Sono lustri che dalla Cina si acquistano titoli del debito pubblico statunitense, se gli amici a stelle e strisce avessero avuto dei dubbi, sull’opportunità di quella concentrazione, avrebbero dovuto manifestarli prima. La Cina va verso la convertibilità della moneta, sicché fa precedere quel momento reinvestendo gli enormi surplus commerciali in acquisti al di fuori dei loro confini. Sono affamati di tecnologia e mercati, dimostrando d’essere più realisti di chi li guarda dall’esterno e li considera una potenza inarrestabile. Certo che non possiamo essere disposti a vendere loro qualsiasi cosa, ma faccio osservare che ostacolare la vendita di ciò che è privato significa essere pronti a metterci denari pubblici. Il cielo non voglia.

Il problema italiano è un altro: nelle pieghe di un tessuto imprenditoriale vivace ed elastico, spesso costretto alla furbizia da un’amministrazione pubblica ottusa, indotto a orientarsi nel buio da una classe dirigente che elabora visioni a occhi bendati, in quelle pieghe c’è l’oro dell’innovazione e della tecnologia, un’inventiva che ha pochi rivali, il nostro problema è che non crescono, non provano a diventare grandi nei mercati globali, perché nell’ecosistema in cui nascono non trovano l’ossigeno per crescere. In compenso trovano chi li strangola. Fa piangere il cuore vedere che quanti non si rassegnano e comunque vogliono provarci sono spinti a cambiare passaporto societario, giacché fisco, burocrazia e giustizia non sono fissazioni di pochi, ma elementi consustanziali alla competitività. Salvo poi andarli a cercare e stanare, come fossero criminali, sempre accostati all’immagine di chi ruba agli altri. Mentre sono loro i derubati, quelli cui si vorrebbe impedire di coltivare un sogno, costringendoli ad irrigare la spesa pubblica improduttiva. Per non parlare poi della ricerca scientifica applicata alla produzione, dove riusciamo anche a proibire le coltivazioni Ogm. Roba che neanche il tribunale dell’inquisizione.

Il nostro problema è che le storie industriali di un secolo addietro non si ripetono. Non certo perché il mondo di oggi sia peggiore di quello di allora (accidenti: avevano davanti due guerre mondiali!), ma perché è lo Stato italiano ad essersi convinto che il proprio dovere non è quello di agevolare la competitività dei propri campioni, ma quello di strizzarli per sovvenzionare le pubbliche regalie e dilapidazioni. Come andare alle olimpiadi e usare gli atleti come sacche per la trasfusione di sangue. Inutile chiedersi perché sul podio arrivano in pochi, a seguito d’eroica resistenza o furbescamente sfuggiti agli infermieri matti.

Pubblicato da Libero

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