Economia

Incoscienza fiscale

Incoscienza fiscale

Ogni anno è la stessa storia, con il Dipartimento delle finanze (ministero economia) e l’Agenzia delle entrate che diffondono un comunicato stampa sempre uguale: i dipendenti guadagnano più degli imprenditori. Quando il presidente della Repubblica si rammarica per il brutto clima che s’avverte, e meno male che lo avverte, farebbe bene a interessarsi anche degli uffici governativi che soffiano sul fuoco. Perché questo è l’unico effetto di quella prosa: scatenare la guerra fra contribuenti, fomentare l’invidia sociale, avvalorare l’idea che quel che manca a me dipende dal fatto che un altro lo ruba. Una guerra fra beoti, in realtà. Resta da stabilire se i sobillatori rientrano nella categoria, o s’iscrivono a quella di chi ne approfitta.

Dire: i dipendenti guadagnano più degli imprenditori non ha senso. Anzi, è disonesto. Fra gli imprenditori non ci sono solo, né prevalentemente, i proprietari di grandi aziende, ci sono anche molte imprese familiari, nelle quali si divide il reddito fra diversi soggetti. E non si tiene conto del fatto che il salario ai dipendenti è dovuto, mentre il reddito dell’imprenditore è una variabile del mercato. Ce ne sono tanti, ma tanti, che stanno stringendo i denti e resistendo. Come ce ne sono troppi non più in grado di reggere la pressione fiscale sull’impresa, figuriamoci di prendere per sé più di quel che prendono. Stringono i denti perché sperano in tempi migliori, ma anche perché considerano i dipendenti come dei familiari. E non si tiene conto del fatto che se la finanza profittatrice prende le aziende per spolparle e dissanguarle, portando via valore, il più numeroso plotone dei piccoli e medi imprenditori reinveste per crearlo, il valore. Sicché da una parte si dà loro addosso perché non investono abbastanza, dall’altra perché non guadagnano abbastanza. Ma il reddito d’impresa non è mica come lo stipendio dei burocrati che stilano questo genere di comunicati stampa: non basta fare lo scioperetto per averne di più, si deve lavorare, vendere, competere e far quadrare i conti.

Non solo: in un’economia globalizzata il grande imprenditore non è più il panzuto cumenda con il sigarone in bocca, ma una società di partecipazioni finanziarie, sicché quei redditi, quando non sono radicati dove il fisco è meno satanico, non compaiono nella lista delle imprese. Dove, invece, trova posto chi ha aperto un’officina meccanica e ha due collaboratori; chi ha aperto un negozio e paga quattro commessi; chi produce impianti elettrici e va a venderli o istallarli di persona. Se il suo reddito medio si ferma a 20.469 euro non è perché si tratti necessariamente di un evasore, ma perché più di quello non può permettersi di portare via (o considera conveniente lasciarlo in azienda, e che il cielo lo benedica). E se il reddito medio dei dipendenti è 20.680 è anche perché fra questi compaiono i non pochi burocrati pubblici che guadagnano assai di più. Per poi pubblicare ogni anno lo stesso comunicato stampa, destinato a far rodere il fegato agli altri.

Ciò, naturalmente, non significa che non esista l’evasione fiscale. Certo che c’è. Ma il modo migliore per non combatterla è quella di lisciare il pelo della rivalsa sociale e del moralismo un tanto al chilo.

Il dato interessante, anche questo non nuovo, è un altro: il 48,7% dei contribuenti sono lavoratori dipendenti e il 34,1 pensionati. Non ci vuole un genio delle tabelle attuariali per capire che troppo pochi ne mantengono troppi. Da una parte c’è l’invecchiamento della popolazione, che già di suo è un problema, dall’altro c’è che molti sono andati in pensione quando avrebbero potuto ancora lavorare, talché, oggi, 22 milioni di italiani lavorano e ne mantengono 38. L’Inps s’è accorto che i conti non tornano e l’equilibrio futuro è in pericolo. Peccato che lo negasse qualche mese addietro. Posto che chi lo dirige è pagato a peso d’oro e che compare nella lista dei dipendenti.

Solo il 5% dichiara un reddito prevalente da impresa. Questo, per un Paese come l’Italia, la cui ricchezza è data dal tessuto connettivo delle botteghe e delle imprese piccole, è un allarme. Ma i comunicatori ministeriali lo suonano per sollecitare la rivolta finalizzata a farli pagare di più. E’ vero l’esatto opposto: imprese e imprenditori sono troppo tassati.

Pubblicato da Libero

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