Nel dibattito parlamentare sulla guerra si è parlato molto, non sempre assennatamente, dell’inflazione. Non è normale, ma è un segnale: su quello le forze politiche puntano per provare a rendere popolare la lunga corsa elettorale. Diranno tutte più o meno la stessa cosa, ma con l’aria di dirla le une in dissenso risentito dalle altre. Il guaio è che rischia d’essere l’ennesima illusione, quindi un danno. Intanto è un sicuro indebolimento della posizione occidentale, perché segnala alla cricca del Cremlino che il tempo può aiutare, le democrazie si possono stufare, che c’è un margine per far credere che quei danni ai portafogli siano frutto di una avventata contrapposizione alla Russia. Falso, ma suggestivo.
Con l’inflazione i conti si deve farli. I livelli attuali non sono pericolosi, ma preoccupano i fraintendimenti e le speculazioni. Ci ripetiamo che l’inflazione europea arriva dall’esterno, dai prezzi delle materie prime, al contrario di quella statunitense, che ha origini interne. Vero, ma non del tutto. A regola di bazzica le politiche monetarie ed economiche degli anni precedenti, qui in Europa, improntate all’espansione, ovvero all’opposto della sventolata e inesistente austerità, avrebbero dovuto già da sole e dall’interno generare inflazione. Il problema era proprio quello che non ci riuscivano. La crescita era troppo fiacca, il che non solo autorizzava, ma suggeriva d’insistere con l’espansione. La ripresa post blocco da pandemia ha mosso la lancetta, dato che l’aumento della domanda e l’infarto della logistica ha portato a un aumento dei prezzi esterni. Che sono piovuti su un terreno fertilizzato. I prezzi delle materie prime energetiche crescevano da prima della guerra. Con quella, certamente, le cose si sono aggravate.
Sappiamo esattamente cosa non si deve fare. Lo sappiamo perché è quello che facemmo, scontando il grave errore: non si deve innescare una gara fra prezzi e potere d’acquisto. Far crescere il secondo sperando di agguantare i primi è un modo per impoverire tutti, checché ne pensiono i demagoghi di turno, fra i quali non ne vedo uno che abbia l’onestà intellettuale di Luciano Lama, che ammise l’errore e provò a rimediare. Per difendersi dall’inflazione si deve contenerla. La difficoltà consiste nel riuscirci senza strozzare la crescita. Si può fare e ne abbiamo gli strumenti, ci si può riuscire concentrandosi sugli investimenti e l’aumento del numero degli occupati, ma si devono contrastare le illusioni.
Che il presidente della Consob ritenga necessari “portafogli che autoproteggano i risparmiatori dal caro vita” è cosa bella, ma anche illusoria, se così venduta. Tanto più che si tratta della stessa persona che voleva portare l’Italia fuori dall’euro, così conquistandoci il record contemporaneo del più alto debito e della più alta inflazione, pronta a mangiarsi il valore del debito come quello dei risparmi. Non esistono autoprotezioni, ma prudenza e assennatezza. Se chiamassimo, ad esempio, il risparmio italiano (2mila miliardi sui conti correnti e postali, bersagli facili dell’inflazione) a compartecipare della privatizzazione di molti beni immobili pubblici, consentendo la loro successiva e fruttuosa rivendita e in quel momento promettendo il guadagno, impegnando, però, il governo presente e quelli futuri non solo a non usare un centesimo di quei quattrini per la spesa corrente, ma anche a non aumentare per quella il debito pubblico, sarebbe cosa saggia. La protezione deriverebbe proprio dalla diminuzione, reale e percentuale, del male accumulato: il debito cattivissimo.
Al contrario, tutta la politica dei bonus, compreso e in prima fila quello 110%, è inflattiva e indebitatrice, perché favorisce i consumi (dai monopattini alle biciclette, fino alle surreali terme) nascondendone il prezzo reale. Gli effetti si vedono subito dopo, quando è tardi. Pertanto si tratta di politiche degne di sfiducia. È debito peggio che cattivissimo.
Guardate il Regno Unito: ricomparsa l’inflazione sono ricomparsi gli anni ’70. Sarebbe davvero paradossale che in una società che invecchia si abbia tutti una memoria da bambini.
Davide Giacalone, La Ragione 23 giugno 2022