Economia

La Bce non ci sta

La Bce non ci sta

L’insofferenza si tocca, a Francoforte. Cresce con la supponenza di chi crede di potere approfittare delle politiche espansive senza fare la propria parte, prendendosi meriti che sono di altri. La Banca centrale europea, e per questa il suo presidente, Mario Draghi, non ha mai smesso di ricordare che la politica monetaria, da sola, non basta. Purtroppo non c’è altro, con il nervosismo che cresce.

Insofferenza e nervosismo spiegano perché taluni governatori delle banche centrali sono divenuti loquaci. Spiega perché quello italiano, Ignazio Visco, avverta il bisogno di rilasciare una lunga intervista, ad appena due mesi da quando dovrà prendere solennemente la parola, leggendo quelle “considerazioni finali” che un suo lontano predecessore, Luigi Einaudi, introdusse quale solo appuntamento in cui rompere il mutismo di via Nazionale. Sostenere, come egli (giustamente) sostiene, che lo 0.5% di crescita del prodotto interno lordo si deve, per ciascuno degli anni che vanno dal 2015 al 2017, all’azione espansiva della Bce significa affermare che senza i fattori facilitativi esterni, senza gli acquisti Bce, la svalutazione da questa indotta, il basso prezzo del petrolio, noi saremmo ancora in recessione. Sono cose che avevamo già scritto, ma qui non si tratta di chi lo ha detto prima: il fatto che lo certifichi la Banca d’Italia significa che non s’intende lasciare spazio alle bubbole politicanti e ai discorsi tanto reboanti quanto vuoti. Se questa è la premessa, vedremo cosa ci aspetta a fine maggio.

Visco aggiunge che: “in questa unione monetaria imperfetta, penso che mantenere per un lungo periodo la moneta senza uno Stato sia impossibile”. Per una niente affatto casuale coincidenza, lo stesso giorno, il governatore della banca centrale francese, François Villeroy de Galhau, dice: “il pilastro monetario esiste ed è solido, la Bce fa il suo lavoro. Quello che manca terribilmente è il secondo pilastro, un maggior coordinamento delle politiche economiche. Per questo propongo la nomina di un ministro delle finanze europeo”. Sentirlo in francese, fa un certo effetto. Queste due voci sono ulteriori dimostrazioni che a Francoforte la pazienza scarseggia: non si può lasciare che siano i banchieri centrali a fare le scelte politiche, salvo poi far crescere l’insofferenza verso un’Ue dove sono le banche centrali a governare, e non si può giacere sugli allori altrui, così facendo crescere l’accusa secondo cui la politica monetaria espansiva lungi dal favorire le riforme ne consente il rinvio.

Parlano ora perché i conti non tornano e la loro resa si avvicina. I giornali italiani di ieri erano impressionanti: si lasciava dire al presidente del Consiglio che la crescita stimata per il 2016 è il 50% in più di quella 2015, il che non significa un bel nulla, perché quel che conta è l’allargarsi spaventoso dello svantaggio relativo, rispetto agli altri europei, che continuano a crescere di più; e si sottolineava che i conti del Def (documento di economia e finanza) sarebbero stati accettati dalla Commissione europea, come se scivolare indietro con quel silente disinteresse comporti chissà quale vantaggio. Sono approcci da incoscienti.

Basti pensare che il nostro debito pubblico, secondo le previsioni di appena ieri (mille volte sbandierate) sarebbe dovuto scendere dal 132.7% (2015) al 131.4 del prodotto interno lordo; la correzione lo riporta su di un punto, al 132.4. Vale a dire appena 0.3 punti in meno. Previsione ora basata su una crescita del pil pari all’1.2 (era previsto 1.6). Questo vuol dire che basterà non agguantare l’1.2 (che, al momento, è un articolo di fede piuttosto improbabile) e il debito sarà in crescita. Al secondo anno di politica monetaria espansiva e dopo che sono crollati da tempo i tassi d’interesse. E a Francoforte già sanno che qualcuno (i tedeschi) darà loro la colpa: avete voluto alleggerire questi incoscienti e loro non hanno corretto i conti, ma fondato la Repubblica dei bonus.

Per questo parlano, i governatori. Perché il tempo stringe e i risultati mancano. Non mi stupiscono le loro parole, trovo deprecabile e colpevole che non ci siano opposizioni capaci di parlare il linguaggio del realismo, rivolgendosi agli elettori per denunciare il tempo devastato e proporre di usarlo in modo da riprendere la via dello sviluppo e della ricchezza. Invece vedo affabulatori, che alla Repubblica dei bonus ne vorrebbero sostituire una più bonus.

Pubblicato da Libero

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