Economia

La molla che schiaccia i giovani

La molla che schiaccia i giovani

Chi ha un lavoro se lo tiene e non intende andare in pensione. Le cose sono andate come avevamo previsto e qui scritto: la crisi spinge a rimandare gli abbandoni, disincentiva dal mettersi a riposo anche perché ci sono meno occasioni di trovare lavori integrativi ed in nero. I dati Inps confermano: nel corso del primo semestre 2009 hanno imboccato la via del pensionamento anticipato 68 mila lavoratori, nel primo semestre 2008 erano stati in 160 mila. A potere uscire sarebbero stati, dati i pasticci combinati dal governo Prodi, che prima cancellò gli “scaloni” e poi introdusse i coefficienti, quanti avevano compiuto 58 anni l’anno scorso. Dei giovincelli che, con un po’ di fortuna, possono vivere in pensione più di quanto hanno vissuto al lavoro.
Sette anni d’anticipo, rispetto alla soglia della vecchia, però, non sono stati giudicati sufficienti per rinunciare al maggior reddito dato dal lavoro. In tempi di vacche magre, insomma, la gente si fa ragionevole ed attenta. Questo, però, dovrebbe indurre la politica a mangiarsi le mani. La sinistra, per avere proceduto inutilmente alla cancellazione (demagogica ed irresponsabile) di un pur minimo e posticipato innalzamento dell’età pensionabile. La destra per non avere colto l’occasione della crisi per mettere mano ad una riforma necessaria e, comunque, già vissuta nella realtà dei fatti.
Sommando crisi e mancate riforme risulta una marginalizzazione sempre più irreversibile di quanti hanno un rapporto instabile e discontinuo, precario, con il mondo del lavoro. I giovani, prima di tutti. A chi ha un lavoro stabile si offre (giustamente) il materasso degli ammortizzatori sociali, in modo da non rendere doloroso l’intermezzo fra il lavoro di ieri e la pensione di domani. Ma a chi nella cittadella protetta non è mai riuscito ad entrare, e non per demerito, ma perché anagraficamente escluso dalla follia protezionista e corporativa del passato, si offrono oggi cuscini assai sottili, mentre per il domani si garantisce che una pensione, almeno simile a quella di nonni e padri, non ci sarà.
Con la ripresa, inoltre, chi è stato protetto avrà la speranza di riprendere il posto, ma chi era fuori può sperare, al più, di riprendere la propria instabilità a basso reddito. Così si carica la molla di un’ingiustizia sociale, si rimandano le riforme ad un domani indefinito, e si spera solo che quella dannata molla scatti sotto le chiappe d’altri politici.

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