Non si combatte la paura con l’inganno, sicché sulla sicurezza del sistema bancario, la cui prima trincea è al Monte dei Paschi di Siena, è bene essere chiari. Anche a costo di apparire brutali.
Il problema che dobbiamo affrontare non consiste nel cambiare le regole europee (che sono giuste), ma nel far cessare un malcostume italo-italiano. Tutti conoscevamo le regole che sarebbero entrate in vigore il primo gennaio scorso. Per i clienti delle banche non cambia nulla, perché in caso di fallimenti gli azionisti ci rimettevano ieri come oggi, così anche gli obbligazionisti non garantiti. Né cambia alcunché per i correntisti: ieri i depositi erano garantiti fino a 100mila euro, oggi si compartecipa del fallimento solo per le cifre eccedenti i 100mila. E’ la stessa cosa. La novità è una sola, enorme: le banche fallende non possono essere salvate con soldi pubblici. Ragione per cui altri (come i tedeschi) ne immisero tanti prima. Noi pochissimi. Per due ragioni: la prima era l’enorme debito pubblico, nel frattempo cresciuto; la seconda fu che le banche non vollero. Veniamo ad oggi.
Piagnucolare come se tutto si riducesse a convincere quei cattivoni dell’Unione europea è tanto patetico quanto ingannevole. Il piagnisteo serve solo ad evitare di dire ai cittadini le cose come stanno: serve utilizzare i quattrini del contribuente per salvare qualche banca e mettere in sicurezza l’intero sistema. Le regole prevedono deroghe, in ogni caso gli altri preferiscono che noi si usino quelli dei nostri contribuenti, piuttosto che quelli dei loro.
Le nostre banche erano e sono meno esposte di altre, tedesche in testa, ai rischi di titoli tossici. Ma sono più esposte di altre per la quantità di crediti incagliati e deteriorati (soldi prestati e che non tornano indietro), non bilanciati da sufficienti capitali propri. Possono essere fatte due cose: rilevare quei crediti o aumentare il capitale (o un mix, ma non complichiamo il ragionamento). La prima via sa troppo di regalo alle banche, se si comprano quei crediti pagandoli troppo. Se, invece, li si paga il giusto, alcune banche s’accartocciano, perché devono tagliare le partite attive senza avere capitale a sufficienza per restare in equilibrio. La seconda via è percorribile, in nome della stabilità e della sicurezza, posto che il panico sfascerebbe tutto. La prima banca ad averne bisogno è Mps. Anche qui, per essere chiari: non ci sono fondi privati disponibili perché non è un buon affare in tempi brevi. Per questo servono fondi pubblici (quelli della Cassa depositi e prestiti tali sono, anche se contabilizzati fuori dal perimetro della spesa pubblica, ma se si prendono quelli poi non se ne può fare una specie di Iri per finta, perché anche i soldi del risparmio postale non sono infiniti e meritano tutele). Si può usarli, ma mai e poi mai per lasciare le cose come stanno. Nel qual caso sarebbero soldi persi.
Chi ha diretto quelle banche se ne deve andare, senza liquidazione. Gli azionisti esistenti saranno remunerati solo quando i capitali pubblici saranno stati restituiti. Se si trovano magagne, come la vendita di titoli inappropriati a clienti non compatibili, li si segnala alla procura della Repubblica. I costi di gestione delle banche italiane sono troppo alti, quindi devono diminuire sedi e dipendenti (quando Matteo Renzi dice di volere difendere i bancari dimostra di non avere capito di che si parla). Roba che fa male. Ma il dolore diverrebbe lancinante se si desse l’impressione che i soldi dei contribuenti possono servire per coprire gli errori di pochi, per giunta assai remunerati.
Va fatto, perché non farlo espone a rischi troppo alti. Ma non può essere fatto seriamente senza la più schietta trasparenza. Quindi senza far finta che la colpa sia dell’Europa e senza dimenticare che se a questo punto si è giunti è anche perché il credito erogato per via relazionale (amici e cordate di amici) è una sconcezza, capace d’impoverire chi produce e arricchire chi seduce.
Pubblicato da Libero