Economia

La Repubblica dei bonus

La Repubblica dei bonus

Nella Repubblica del bonus si ritiene che il problema della ricchezza non sia produrla, ma distribuirla. Una Repubblica intrisa di moralismo senza etica, talché confonde l’equità con l’elemosina. Retta dal preconcetto che si sia sudditi del “sistema” e del “mercato”, capaci di determinare la vita di ciascuno. Sicché gli sfortunati vanno compensati. Ed è governata, conseguentemente, dal Partito unico della spesa pubblica, ove destra e sinistra si contendono il ruolo di elemosinieri. Gli uni con l’aumento delle pensioni minime e la social card, gli altri con il bonus 80 euro, il bonus mamme e, ora, il bonus poveri. Tanto figli della stessa cucciolata da rimproverarsi a vicenda credibilità e affidabilità, senza mai dirsi che quella politica è un errore.

In quanto a credibilità e affidabilità, è una bella gara. Il consuntivo è sempre lo stesso: più spesa pubblica e più pressione fiscale. Gli uni e gli altri lo negano, il che fa tenerezza, talora scadendo nel patetico. Martedì scorso il problema era evitare lo scatto delle clausole di salvaguardia, perché i conti erano (e sono) tutt’altro che stabilizzati, mentre la crescita è alla metà della media europea. Il venerdì successivo c’era il tesoretto, con annesso bonus. Cosa fatta? Lallero. Dice il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan: a. non abbiamo ancora preso nessuna decisione; b. “il Def definisce il contesto, la legge di stabilità entra nel dettaglio”. Ci vediamo a settembre.

Ma i bonus sono un errore, anche ammesso (e non concesso) che sia credibile chi ne parla. L’ultimo, ad esempio, non sarebbe contro, ma a favore della povertà. Così come l’elemosina moltiplica i mendicanti. La povertà può essere frutto di un fallimento individuale o di un fallimento collettivo. Nel primo caso: fumo gli spinelli anziché studiare e poi gioco ai cavalli anziché lavorare. Lo Stato può aiutarmi a smetterla e tornare responsabile, se oppongo resistenza è giusto che rimanga in miseria. Meritata. Nel secondo caso: vorrei lavorare, ma non trovo impiego. Questa è faccenda più seria. Per affrontarla servono politiche della formazione (scuola ed educazione permanente); del collocamento (agenzie serie, chiudendo le buffonate regionali, corresponsabili del totale fallimento del programma giovani); del mercato (più investimenti, meno tasse). Vasto programma, lo sappiamo bene, ma quella è la direzione di marcia. Per combattere la povertà si deve lavorare e creare ricchezza, aumentando la produttività. Il bonus è l’esatto contrario: prendi questa moneta, che mi sgrava la coscienza, domani io resterò ricco e tu resterai povero, ma quest’oggi hai allungato la mano e io ho tacitato il dolore.

Ditemi una cosa: se prendo un contributo in quanto povero, che lo dia Berlusconi o Renzi non cambia, perché mai dovrei andare a lavorare per 700 euro, come succede in Germania, dove i poveri e i disoccupati sono pochi? Se non avete la risposta avete trovato quella vera: quei bonus sono a favore, non contro la povertà.

E’ un errore dare il bonus allattamento? Lo è, anche perché crea confusione su quale sia la mammella da suggere. Da noi la natalità è crollata. E’ sensato agevolarla e incentivarla. Per farlo servono: asili, scuole, sport al pomeriggio, lavoro elastico per le donne (più lavorano più fanno figli, il che è perfettamente logico, essendo persone ragionanti, non fattrici). Chi pensa che il bonus mamma accresca le mamme non sa nulla dei bimbi. Sarà solo spesa pubblica. E siccome sarà spesa pubblica non destinata alla produzione, diventerà poi deficit, quindi debito, ergo tasse: il grande volano della povertà, della denatalità, della sfiducia.

L’equità e la lotta al bisogno sono il contrario dei bonus. E consistono anche nel combattere il malus, ovvero l’idea che siano giusti i soldi spesi dallo Stato, quindi dai politici, e sbagliati quelli spesi dai privati. Il perfetto moralismo senza etica vuole, invece, che si dica peste e corna dei politici, ma si voglia maneggino sempre più soldi da regalare. Il Partito unico della spesa pubblica è così forte perché grande è la platea di quanti ritengono di potere e dovere essere mantenuti dalla spesa pubblica. Saperli avviati alla perdizione mi dispiace. Ma neanche troppo.

Pubblicato da Libero

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