Finiamola con l’ipocrisia, e, quindi, finiamola di scrivere che è saltato l’accordo fra Telecom Italia ed AT&T. Quell’accordo non può essere saltato per la semplice ragione che non c’è mai stato.
Il giornalismo economico italiano non perde occasione per mostrarsi reticente, o colpevolmente distratto. Quel che è passato sotto il naso di questo giornalismo assai poco occhiuto non è solo la faccenda AT&T, ma, evidentemente, l’intera operazione privatizzazione.
Scrivemmo, su questo giornale, che la vendita delle azione Telecom Italia, azioni che si trovavano nel portafoglio del Ministero del Tesoro, tutto poteva essere, tranne che una privatizzazione. I fatti continuano a darci ragione.
Ma ve la immaginate voi una privatizzazione grazie alla quale entra in Consiglio d’Amministrazione un rappresentante dei piccoli azionisti, e che tale rappresentante altri non è che il vecchio vice presidente della Stet? Roba da sghignazzare. E che gli fanno fare al vecchio vice presidente? ma che domande, gli fanno fare il vice presidente. E ve la immaginate una privatizzazione in cui chiamano a fare l’amministratore delegato, nel nuovo assetto, colui il quale era capo del personale del vecchio assetto? Suvvia, chi ha voluto crederci si è autopreso per i fondelli.
La presenza della AT&T serviva solo e soltanto a rendere meno appariscente la ridicolaggine in corso. Ma questa operazione di maquillage è stata condotta con colpevole imperizia. Difatti, nel mentre si avviavano trattative con gli americani, in modo da sondare la possibilità di creare delle alleanze nei mercati internazionali, si consentiva loro di mettere piede nel board. Con il risultato che si pretendeva di trattare il matrimonio con un genero che era già a letto con vostra figlia, ed a casa vostra. E’ finita come non poteva non finire.
Il che mi spinge a dire che, oggi, si fa tanto baccano per nulla. Difatti : non è successo nulla. L’alleanza non c’era prima e non c’è adesso. Tale quale. Sarà un guaio, e per molti aspetti lo è, ma non è un guaio né nuovo né inatteso.
Ma, tornando a bomba, al centro dell’attenzione non deve essere la cronaca di queste ore, bensì quell’operazione che si volle chiamare privatizzazione e che privatizzazione non fu e non è. Attenti, perché le bugie portano male. Portano male perché a forza di dire che si è privatizzato si deve lasciare mano libera a quei pochi privati che, investendo pochi soldi, rappresentano il poco privato che c’è; e portano male perché poi si trova sempre un Vita che dice : è giunta l’ora di adoperare la golden share. E così ci si impicca con la corda con cui si giuochicchia.
Prima di chiudere, un mesto pensiero all’AT&T. In principio fu Italtel, poi venne l’Olivetti, giunse infine Telecom Italia. Se fossi nei panni di chi si occupa del settore italiano, di chi valuta la saggezza delle alleanze, comincerei a sentirmi osservato.
Un grato pensiero va, invece, al compagno Bertinotti : ha ragione lui, se si privatizza in questo modo è meglio non privatizzare.