L’incontro fra il cancelliere tedesco e il presidente francese non ha prodotto nulla, segnalando una preoccupante mancanza di visione futura e promettendo il peggio per l’Unione Europea e per l’euro. Abbiamo denunciato, senza pietà, le miserie di casa nostra, guai a non accorgersi o a sottovalutare le miserie continentali, perché saranno decisive. L’euro sarebbe dovuto essere lo strumento monetario per portare all’integrazione politica, invece l’assenza di strumenti istituzionali adeguati sta portando alla disintegrazione economica. La Merkel e Sarkozy sembrano più adeguati a sperare di vincere qualche elezione in casa propria (fin qui perse), piuttosto che a essere interpreti di una storica necessità.
Gli accordi fra loro raggiunti sono ridicoli, a cominciare dall’idea di riunire due volte l’anno il consiglio europeo, per indicare un presidente stabile. C’è già, e non conta niente. Significativo, invece, quel che hanno escluso: gli eurobond. Errore, tragico. E’ dallo scoppio del caso greco che andiamo ripetendo la necessità di trovare forme (gli eurobond ne sono una) di federalizzazione del debito, altrimenti si va al massacro. Tedeschi e francesi compresi. Vedo che George Soros la pensa come qui scrivemmo. E lui se ne intende, di speculazioni.
Sia l’euro che l’Ue sono nati per rendere libera la circolazione di cose e persone, in un unico mercato e un unico ambito istituzionale. Solo che il trattato di Maastricht, che fissò le regole della moneta unica, è nato avendo in mente i problemi dell’inflazione, non quelli della recessione, mentre il rigore monetario e i bassi tassi d’interesse (di cui abbiamo colpevolmente beneficiato, senza mettere ordine nei nostri conti) sembravano aver fatto sparire il diverso valore dei debiti pubblici. La pratica era stata derubricata a contenzioso amministrativo, fra singoli stati e Commissione. La speculazione, invece, ha scoperto che moneta unica + debiti diversi + tassi d’interesse diversi + impossibilità di fallire o uscire dall’euro = una pacchia con cui arricchirsi senza correre troppi rischi. Se non si pone rimedio l’Europa si disintegra, perché totalizza un effetto opposto a quello inizialmente proposto: non solo le singole aziende e persone non competono, fra di loro, a parità di condizioni, ma chi deve pagare tassi e tasse più alti ha perso ancora prima di cominciare. Perché, allora, non dovrebbe reclamare la fine dell’incubo? Perché l’europeismo è una bella cosa? La retorica non è commestibile.
La strada del debito federato è ostruita dal fatto che tedeschi e francesi interpretano i loro interessi nazionali come diversi da quelli dell’Unione, e dal fatto che i loro governi credono che dire agli elettori d’avere ceduto alla federalizzazione dei debiti equivalga a far pagare ai virtuosi i costi dei dissoluti. Ma non è affatto vero. Al contrario, invece, l’infezione data dalla somma di follie, prima descritta, si allarga e colpirà anche i francesi. Mentre i tedeschi s’illudono di restarne immuni, perché saranno affondate le loro banche. Il tutto in un’area, quella dell’Unione, fra le più ricche e solide del mondo. Ma con un difetto: classi politiche dialettali e senza senso della storia.
Tutto questo non diminuisce di un capello la responsabilità della nostra classe politica, che, anzi, condivide le stesse miserie e ci ha messo nella deprecabile condizione di stare sul banco degli accusati e non avere voce in capitolo. Ma noi siamo uno dei Paesi fondatori dell’Ue. L’Europa non esiste, senza l’Italia. Perde senso economico, politico, strategico e culturale. Non abbiamo solo il diritto, abbiamo il dovere di puntare il dito contro la follia del presunto asse franco-tedesco, che, con la sua sola esistenza, con la sua pretesa di mettere assieme i grandi non ancora aggrediti dalla speculazione, dimostra di non avere idea di quel che succede e di quel che è necessario fare.