È stato combinato un guaio. Vedo anche una corsa a ingrandirlo laddove, invece, si dovrebbe usarlo per trarne un vantaggio. Questo è l’interesse nazionale. La Banca centrale europea pratica un tasso dello 0.25%, praticamente negativo. Ridurlo porterebbe fuori dalla politica monetaria e in campo filosofico. Le banche che prendano denaro dalla Bce e che lo lascino colà in deposito pagano per questo servizio, anziché guadagnarci, il che serve a indurle a farlo circolare tramite i clienti. Queste le due colonne erette da Mario Draghi, cui se ne aggiungono altre, come l’acquisto di titoli, in modo da sostenere direttamente sia il sistema produttivo che i debiti degli Stati membri.
Ieri è stato annunciato un aumento di 120 miliardi per questa attività e per l’anno in corso. Va bene. È la opportuna continuità (ieri si sono distinte voci critiche verso il nuovo presidente, perché avrebbe tradito il vecchio, salvo che quelle voci criticarono il predecessore per tutto il corso del suo ottimo mandato). Più di questo è difficile fare, con gli strumenti fiscali. Come Draghi ha ripetuto un milione di volte: il resto spetta ai governi nazionali e alle politiche fiscali.
Tutto bene? No, perché a una domanda il nuovo presidente della Bce, Christine Lagarde, ha risposto: “non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per gestire quelle questioni”. Sbagliato? No, giusto. È così. Solo che peggio non si poteva dire, perché una cosa è affermare: faremo tutto il possibile, scordatevi di speculare contro l’euro perché vi rompiamo le ossa e, però, tocca ai governi nazionali fare il resto per far scendere i differenziali (spread) e favorire la crescita; altra liquidare la faccenda con parole che sembrano smentire l’essenziale premessa dell’altra modalità espressiva. Da qui il caos di ieri.
Intendiamoci, però. Le Borse cono crollate ovunque, sicché la motivazione è multipla. Il necessario fondo salva Stati non è effettivamente competenza della Bce. Come neanche il rispetto o la modifica del patto di stabilità. Il grosso danno fatto da Lagarde è dunque un altro: la parola della Bce era fin qui stata sufficiente, perché quella parola era un fatto, lei è riuscita, al primo colpo, a smontare questa conquista del 2012.
Notevole. Se l’Italia si mette a dire “ha danneggiato noi” è come dire: certo che siamo sull’orlo della bancarotta, ma non si doveva dirlo. Ed è vero che non si deve dirlo, ma non che siamo alla bancarotta. Quindi meglio: non si danneggi l’euro. Anche perché se lo si danneggia e si rompono gli argini costruiti in bancarotta ci andiamo sul serio e, a quel punto, a dirlo saranno tutti.
Ergo non si vede “approfittare” del maldestro scivolone per sfondare qualsiasi deficit, continuando stoltamente a far credere che sia un problema europeo, laddove è solo e soltanto ulteriore debito nostro, ma, semmai, usandolo per riprendere il discorso più serio: quello dei fondi europei raccolti mediante l’emissione di debito europeo. Fin qui, con governi di diverso colore, l’Italia ha fatto di tutto per allontanare quel che avremmo interesse ad avvicinare. Ora si usi la disgrazia dei contagi e la disgraziata risposta per cambiare musica.
DG, Formiche 13 marzo 2020