Economia

Liberalizzazioni e kulaki

Liberalizzazioni e kulaki

Al primo giro delle liberalizzazioni applaudii, per poi essere deluso. Al secondo il sapore che resta in bocca è assai sgradevole e, per dirla tutta, l’approccio culturale sembra quello della lotta, trotskista e staliniana, contro i kulaki, i piccoli proprietari terrieri. Queste non sono liberalizzazioni, in certi casi sono l’esatto contrario.

Premetto che: le liberalizzazioni sono cosa buona e giusta; poche sono sempre meglio di nessuna; ed il centro destra, nella scorsa legislatura, ha perso molte occasioni. Ma quelle che Bersani scodella oggi sono cosa ben diversa.

Avendo messo assieme materie le più diverse, ed avendo indotto una detestabile confusione fra quel che si trova nel decreto legge e quel che navigherà lentamente in un disegno di legge, il governo ha puntato all’incasso propagandistico dell’effetto annuncio (coprendo la gravissima spaccatura sull’Afghanistan). Inoltre rende difficili i commenti seri perché si dovrebbe spaziare dal benzinaio al barbiere, che non sono questioni omogenee. Ma pur nella confusione, qualche paletto lo si può fissare: 1. nessuna delle norme annunciate favorisce la concorrenza nella produzione di beni e servizi, ma molte si concentrano nel colpire gli interessi dell’ultimo anello della catena, quello a diretto contatto con i consumatori; 2. nessuna di quelle norme porta liberalizzazione alcuna nel mercato del lavoro, anzi, con le annunciate trovate pensionistiche e con il colpo di mano sul tfr si è reso quell’importante mercato più vincolato; 3. in nessun caso le presunte liberalizzazioni si accompagnano a diminuita pressione fiscale, ed è emblematico il caso dei benzinai, dove si pretende che il prezzo sia flessibile all’aumento dei punti vendita (quando potrebbe essere vero l’opposto) facendo finta di non sapere che per la grandissima parte è determinato da oneri fiscali; 4. dove s’interviene per far cosa gradita ai consumatori, come nelle ricariche telefoniche, si opera in senso opposto alla liberalizzazione, con un provvedimento dirigistico sulla formulazione della tariffa.

Le ricariche sono il giusto esempio per far capire quel che succede. Il sovrapprezzo praticato dalle compagnie telefoniche è ingiustificatamente alto e segna un abuso della posizione. Lo scrissi ben prima che Bersani s’accorgesse del problema. Ma le cose da farsi erano due: da una parte le autorità di controllo dovevano intervenire sanzionando l’abuso e modificando la condotta dei gestori; dall’altra il governo avrebbe dovuto consentire un aumento della concorrenza, già da sola in grado di far scendere le tariffe (com’è avvenuto e come avverrà). Invece s’interviene con un decreto per stabilire cosa deve esserci e cosa no in una tariffa, e questa è economia socialista e pianificata, non liberismo e liberalizzazioni. In Sudafrica se paghi dieci una ricarica telefonica ti accreditano traffico per undici, il che è economicamente possibile perché con le ricariche il cliente paga prima, consentendo un vantaggio finanziario al gestore. Per ottenere questo, in Sudafrica, non è intervenuto il governo sulle tariffe, ma si è allargata la concorrenza e si sono fatti entrare gli operatori mobili virtuali con la Virgin di Richard Branson. Questa è una liberalizzazione, che in Italia ancora non c’è, questa si doveva fare, non il decreto sulle tariffe.

L’insidia del decreto, in questo esemplare caso, sta proprio nel mascherarsi dietro una cosa “giusta”, populisticamente facendo appello alla plebe cellularizzata. Ma lo strumento sbagliato aggraverà il problema, rendendo più povero il mercato tutto. La trappola politica sta nell’attendere che gli esponenti dell’opposizione si mettano a cavalcare qualsiasi protesta contro le liberalizzazioni, spesso coprendo egoismi corporativi e consentendo alla sinistra di appropriarsi di una bandiera che onora assai malamente. Non si deve, allora, dire che queste liberalizzazioni sono troppo, ma che sono poco e male. L’Italia ha urgente bisogno di liberalizzare i mercati del lavoro, dell’istruzione, dell’energia, ha bisogno di smontare i centri clientelari e protetti delle Iri municipalizzate, ed anche, magari, di andare a tagliare i capelli il lunedì. Liberalizzare significa colpire le rendite finanziarie ed i potentati, mentre la campagna contro i kulaki non ha nulla, ma proprio nulla a che spartire né con il mercato né con la libertà.

26 gennaio 2007

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