Economia

Lo spread di ortottolandia

Lo spread di ortottolandia

Non siamo feticisti dello spread. Non ci abbiamo mai letto, come altri, una specie di oroscopo della Repubblica. Sostenni e sostengo che quell’indice, prima di tutto, misura le deficienze istituzionali e strutturali dell’euro. Ciò non toglie che il vuoto si creò, sotto i piedi del governo Berlusconi, quando il tasso d’interesse sul nostro debito pubblico superò quello sul debito spagnolo. Si era nell’agosto del 2011. Fu il segnale che la trincea dell’euro era scavata fra le vie di Roma. Ora torniamo a quella situazione.

Allora il debito pubblico spagnolo era molto basso (poco oltre i parametri di Maastricht, che lo fissano al 60% del prodotto interno lordo), mentre quello italiano era quasi doppio (119). Questo deponeva per una loro maggiore stabilità. Ma tutti gli altri parametri erano negativi, a cominciare dall’esplodere di una micidiale bolla immobiliare. Da noi non c’era e non c’è nulla di paragonabile. Da allora a oggi il loro debito è cresciuto assai più del nostro (da 61,5 a 86,1 rispetto a 119,2 e 126,5), il loro deficit è fuori da ogni compatibilità (-9,7% nel 2010 e -9,9 oggi), mentre il nostro era ed è sotto controllo (da -4,5 a -2,9). I debiti delle loro famiglie pesano il doppio di quelli delle nostre, sempre calcolati sul pil. La loro disoccupazione è doppia (anche se alla nostra si dovrebbe sommare la quota in cassa integrazione, che fra un po’ finisce). Tutti questi numeri per dire una cosa piuttosto evidente: non sono i dati economici a giustificare il riavvicinarsi dei due spread, come non furono e non saranno i dati economici a giustificare il sorpasso che ci fu e che potrebbe ancora esserci. Ciò non di meno il sorpasso fu e sarebbe campana a morto. Eccone la ragione.

Se l’inversione avviene è perché chi investe soldi nei debiti pubblici prova a saggiare la tenuta della valuta utilizzata, quindi dell’euro. La trincea di quella guerra torna a Roma. Ciò accade perché gli Spagnoli, con guai assai più gravi dei nostri, hanno comunque un governo legittimo, figlio di regolari elezioni. Oltre tutto convocate nel pieno della tempesta, dopo che il governo precedente, socialista, aveva rassegnato le dimissioni. Da noi, invece, abbiamo allungato la broda all’infinito, abbiamo evitato le urne per dare tempo al governo tecnico, il quale, alla fine, s’è ritrovato con un debito più alto (in assoluto e in rapporto al pil), senza riforme strutturali (salvo le pensioni) e con il governo stesso trasformato in lista elettorale. Un disastro. Al quale si potrebbe comunque porre rimedio, facendo tardi quel che si sarebbe dovuto fare prima: l’unica maggioranza possibile, ovvero l’attuale, ma anche l’impegno a riforme istituzionali ed elettorali. Non se ne è capaci o si rilutta? Allora i mercati travolgeranno la trincea.

In questo non c’è complotto o macchinazione, è semplice ovvietà: dimostrate al mondo d’essere in equilibrio e noi torneremo a leggere gli indicatori economici, altrimenti c’interessa solo che non avete governo, vi rifiutate di farlo e avete portato in Parlamento un quarto di seggi che reclamano il referendum sull’euro, siete morti, e noi non vogliamo che i nostri soldi siano seppelliti con voi. Quando questo ragionamento sarà (più di quanto non sia) diffuso, quando gli investitori si libereranno di titoli italiani e convertiranno gli impieghi, quando le agenzie di rating si metteranno al vento della mandria al galoppo, ci ritroveremo ad avere sprecato le lacrime e il sangue versato. Quel giorno ci sarà anche il cretino di turno che proclamerà la sovranità nazionale, contro i banchieri, i pescecane, gli istituti plutogiudaicomassoni. Prenderà applausi e voti. Tanto ortottolandia sarà irrilevante. Solo terra da spolpare.

Fa rabbia una sola cosa (perché il resto c’è tanta gente che se lo merita): l’alternativa c’è e la terza potenza economica, seconda potenza industriale d’Europa può ben rimettersi in piedi. Ma occorrono serietà e consapevolezza. Beni scarseggianti, almeno al momento.

Pubblicato da Libero

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