Economia

Malevola bontà

Malevola bontà

In pensione è stato mandato il buon senso. Un cantiere fastidiosamente sempre aperto, nel quale si continuano a commettere gli stessi errori. Da ultimo quello sul part-time pre pensionistico, non a caso rilanciato con il seguente, irragionevole e mendace annuncio: si lavora la metà e si guadagna lo stesso. Roba da alchimisti. Neanche quelli, però, trovarono la formula per trasformare in oro il vil metallo.

La cosa riguarda i lavoratori del settore privato, che ove abbiano i requisiti per la pensione di vecchiaia (20 anni di contributi) potranno trasformare, in accordo con il datore di lavoro, in lavoro a tempo parziale (avendone uno a tempo indeterminato e pieno) l’ultimo tratto della loro vita lavorativa. Prenderanno, in quel caso, il 65% di quanto prendevano prima, ma anche i contributi previdenziali che l’azienda versava per loro conto. Questa parte della retribuzione sarà esentasse, mentre lo Stato provvederà a riconoscere ugualmente quei contributi, come versati, trasformandoli in figurativi. Quando andranno in pensione, quindi, non ci rimetteranno. Siccome siamo stati, fin qui, assai abili nel moltiplicare i pensionati, anche se furono brevemente lavoratori, ma del tutto inabili a moltiplicare pani, pesci e accumulazione pensionistica, un meccanismo di questo tipo si traduce in un maggiore debito per il futuro. Debito che peserà sulle spalle di quanti resteranno al lavoro, più in generale di quanti sono visti più come produttori di gettito fiscale che non di ricchezza. Dal punto di vista anagrafico: una fregatura per i più giovani.

Ma come, si obietterà, questa misura serve proprio a creare spazio per i giovani, nel mercato del lavoro. Erroraccio. Al più creerà qualche ulteriore distorsione nella contabilità del mercato del lavoro, facendo ancora credere che siano da annettersi alle riforme i risultati dovuti alle decontribuzioni. Debito futuro.

Erroraccio aggravato dal presupposto teorico, secondo cui il lavoro è una quantità più o meno fissa, sicché si tratta di distribuirla meglio. Se chi lavora lo fa un po’ meno, altri copriranno la differenza. Se chi lavora va in pensione, altri prenderanno il suo posto. Ma non è così, perché il lavoro dipende dalla capacità di competere e produrre ricchezza. Chi produce merci e servizi di buona qualità, vendendoli a un prezzo ragionevole, imbocca la via dello sviluppo, creando sempre nuove opportunità per chi voglia investire e lavorare. Chi, invece, suppone che lavoro e ricchezza siano dati, impegnandosi più nel loro consumo che nella loro produzione, imbocca la via della rovina. Può nasconderlo, spostandone gli effetti nel futuro. Ma se i padri che si tolgono il pane di bocca, per darlo ai figli, ricordano troppo De Amicis e Collodi, quelli che mangiano il pane dei figli, consegnando loro i debiti, ricordano Hannibal Lecter.

Il cannibalismo pensionistico si presenta ai commensali come un fantastico aumento nel trasferimento di quattrini, pertanto destinato all’applauso. Se poi viene condito con bonus e regali, che per equanimità s’allargano anche ai giovani, premiando l’impegno con cui hanno conseguito il considerevole risultato d’avere compiuto 18 anni, si può pure rischiare l’ovazione. Ma nasconde un subdolo sequestro di libertà. Perché mentre in un sistema in cui il lavoratore può contare su una pensione basata sui contributi versati (talché, ove il fisco non gli ciucci via il sangue, sarà invogliato ad accumularne una integrativa) quel lavoratore potrà andare in pensione quando vuole, essendo padrone della propria sorte e del proprio tempo; in un sistema basato su regalie e spostamento degli oneri, a un futuro contabile che superi l’orizzonte temporale del governante autore dell’omaggio, egli resterà prigioniero di strane regole di vita, con le quali si pretende di scegliere al suo posto di quanto ha bisogno e cosa deve fare del proprio tempo. Cotale lezione di vita, in realtà, cela il bisogno di non far mergere la bancarotta contabile. Conquistata praticando una malevola bontà.

Pubblicato da Libero

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