Non esistono i soldi dello Stato, sono dei cittadini che pagano le tasse. Possono anche essere usati, in particolari circostanze e con tempi limitati, per aiutare il sistema produttivo, di cui le banche sono parte. Faccio fatica a credere che sia sano usarli per salvare le banche male amministrate e fallimentari. La legge garantisce (oggi come ieri) chi ha depositi fino a 100mila euro, ma non chi investe nelle banche (azioni) o presta loro i soldi (obbligazioni, a meno che non siano garantite). Mi pare giusto. Il piccolo risparmiatore non corre rischi, l’investitore deve sapere quel che fa. Non solo scegliere la banca, ma il prodotto che compra. L’interesse collettivo è che regole e controlli puntino a conservare sano il sistema.
Le banche italiane sono troppe, hanno costi fissi troppo alti, troppi sportelli e troppo personale. Gli accorpamenti vanno visti di buon occhio, anche perché il mercato di riferimento, sia dal punto di vista regolamentare che economico, non è più nazionale, ma continentale. Figuriamoci se ha senso conservare istituti provinciali. Se le cose stanno così, però, perché si è fatto un decreto legge (novembre scorso) per assicurare continuità a quattro piccole banche (complessivamente l’1% del mercato), dalla condotta non commendevole, e perché il fondo Atlante s’impegna a ricapitalizzare banche minuscole? Non sarebbe più saggio passare direttamente alla fase successiva: accorpare, vendere, se necessario chiudere? La risposta si trova guardando al tema delicato della sicurezza.
Anche il pastore che volesse un gregge più piccolo non per questo lascia alcune pecore ai lupi: le riporta all’ovile e le trasforma in costolette. Per vendere o fondere le banche bisogna che non siano già fallite, il che giustifica i salvataggi. Senza contare il panico che si diffonderebbe nel vederle affondare. Attenzione, però, a non salvare con gli istituti anche le loro condotte deprecabili, assecondando un istinto non di prevenzione, ma di cieca conservazione. In quel caso si buttano via soldi. Se la Banca del Borgo viene salvata per risanarla, mandare a casa chi l’ha mal ridotta e processarlo se ha truffato i clienti, è una buona premessa per farla diventare parte di una banca più grande. Ma se si continua con la retorica del credito borgataro allora è segno che non s’è capita la lezione, con il malcostume che, prima o dopo, torna. Per questo m’insospettiscono quelli che se la prendono con il meccanismo di risoluzione europeo, il bail-in: un fallito deve fallire, non serbarsi fallimentare a vita.
Ma si devono avere gli strumenti per tutelare i risparmiatori che non hanno alcuna colpa (quindi non gli investitori che cercano, legittimamente, ricchezza, dovendone accettare i relativi rischi). Giusto. Ripete Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia: per far funzionare bene l’Unione bancaria si deve varare il fondo di garanzia, anche se i tedeschi recalcitrano. Giusto anche questo, ma non prendiamoci in giro: i tedeschi resistono all’idea che un fondo comune salvi le banche dell’Unione, anche quelle che, per spirito di servizio o per scelta (buona la prima), si sono riempite di titoli del debito pubblico, perché in quel caso si crea un nesso inscindibile fra rischio bancario e rischio del debito. Ecco perché i tedeschi vorrebbero porre alle banche un limite, nell’acquisto di quei titoli, mentre noi non ne vogliamo alcuno, visto che ci piazziamo dosi massicce dei nostri. Potrebbe essere un interessante dibattito accademico, se non fosse che il nostro debito rimane inchiodato a livelli altissimi e pericolosi, con il governo che ogni anno sposta di uno (talora di due) l’inizio della sua riduzione. Peraltro minuscola.
La versione dialettale delle discussioni europee narra di un’Italia capace di ottenere l’elasticità. In realtà sono le condizioni complessive a non consentire di far valere il rispetto delle regole. Ma sfondarle e risfondarle, come stiamo facendo, non è una conquista, bensì un allargarsi di due mali: 1. finché così stanno le cose non ci sarà fondo di garanzia per le banche, sicché le nostre, che sono meno tarlate delle tedesche, saranno più esposte per mancanza di capitale; 2. il permanere di deficit e debiti enormi, accompagnati da crescite asfittiche e drogate, indebolisce la posizione della Banca centrale europea, avvicinando il giorno in cui finirà l’espansione monetaria (di cui noi, proprio perché indebitatissimi, ci siamo giovati più di altri), e quando i tassi d’interesse cresceranno non solo salirà il costo del debito, ma coinciderà con maggiori difficoltà delle nostre banche.
Sia per le banche che per il debito, quindi, la parentesi giuliva non durerà a lungo. Se ne avremo approfittato per raddrizzare costumi e costi delle banche, come per alleggerire il debito e far ripartire gli investimenti, riprenderemo a correre nella competizione continentale, altrimenti sarà servito a niente il battere stizzosamente i piedi e il piagnucolare, supponendo che le colpe siano sempre degli altri. Mai di chi i falliti li genera, alleva e protegge.
Pubblicato da Libero