Volere bocciare il Mes e la sua riforma sarebbe legittimo. Io penso l’opposto, ma è evidente che si possono valutare diversamente le cose. Però nessuna forza politica propone di portare quel testo in Aula e votare contro perché dovrebbe prima farsi le boccacce allo specchio.
Il Mes fu negoziato e approvato – nel 2011 – dal governo Berlusconi, poi ratificato con una maggioranza comprendente il centrodestra. Vale a dire quelli che si sono messi a dire che il Mes era il demonio. Il che è falso, ma se fosse vero loro ne sarebbero i responsabili. Mentre l’ultima riforma del Mes, quella che ora va ratificata, è stata negoziata dal governo Conte 1, con il determinante sostegno della Lega. Questi i fatti. Se poi non si è votato per ratificarlo è perché la Lega della stagione putiniana e dell’uscita dall’euro e dall’Europa aveva impresso tale torsione all’intera destra (Meloni compresa) e la sinistra, nel frattempo alleatasi con i pentastellati, era già il regno del tentennare. Poi venne il governo Draghi, ma la ratifica è di competenza parlamentare e il frammischione di propaganda e trasformismo suggerì a ciascuno di evitare il voto.
Ed eccoci qui: votare contro il Mes, per la destra, sarebbe votare contro sé stessa, ma votare a favore significa votare contro le bubbole che ha raccontato, quindi preferiscono non votare. Ridicolo.
Lo strazio, a un certo punto, dovrà finire. Se la maggioranza tarderà ancora a votare a favore della ratifica non avrà fatto altro che prolungare lo spettacolo della viltà. Se voterà contro avrà fatto cadere l’impalcatura su cui si regge il governo Meloni. Cosa faranno le opposizioni non è poi così rilevante ma – ove mai intendano fare politica, uscendo dalla seduta di psico-partitismo – farebbero bene ad annunciare (in realtà avrebbero dovuto farlo già mesi addietro): noi voteremo a favore, il governo non corre alcun rischio, se non si arriva al voto è soltanto perché la maggioranza è spaccata. Piuttosto facile ma, appunto, richiederebbe il far politica.
Vabbe’, il MeStrazio finirà. Il suo solo esito è un indebolimento del governo, perché chi non sa come fare quel che sa di dovere fare non consegna di sé un’immagine accattivante e confortante. Suggerimmo di farlo a Ferragosto, ora c’è Natale, poi l’Epifania che tutti i rimpiatti si porta via. Ma il resto rimane.
Il negoziato per la riforma del Patto di stabilità e crescita approderà a un compromesso, non essendo sensato immaginare un ritorno in funzione del vecchio e meschino prolungarne la sospensione. Quale che sia il punto di compromesso, poi conteranno la realtà e la sua misurabilità: il 2024, nel frattempo cominciato, renderà necessario un aggiustamento dei conti, senza il quale il peso percentuale del debito pubblico sul Prodotto interno lordo salirebbe anziché scendere, mentre la crescita economica – senza la quale i conti non si aggiustano mai – richiederà l’accompagnarsi della spesa reale dei soldi Pnrr (in investimenti che comportino sviluppo) alle riforme già concordate e fin qui ferme. Compresa quella che comporta un vigoroso e opportuno contenimento dell’evasione fiscale.
Sono cose non facili e non indolori. Per questo è grottesco incartarsi sul Mes, ovvero sul nulla. Un meccanismo la cui sola novità consiste in un fondo a garanzia degli europei che hanno un conto in banca, cioè quasi tutti. È bello avere un governo con il coraggio di sostenere l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, lascia sbalorditi che lo stesso ostacoli il proprio ingresso nella serietà.
Davide Giacalone, La Ragione 12 dicembre 2023