Quel che è successo alla Francia, con l’annuncio d’imminente declassamento, il calo della Borsa (in controtendenza rispetto ad altre piazze europee) e l’ampliarsi dello spread rispetto alla Germania, dimostra che avevamo ragione nell’avvertire che quello sarebbe stato il bersaglio successivo, subito a ruota dell’attacco alle loro banche. Quel che succede in Grecia, con lo sciopero generale che ferma tutto e il governo che annuncia nuove misure di rigore, oramai giunte ad immaginare riduzioni del 60% degli stipendi pubblici, dimostra che la risposta alla crisi del debito non può consistere nella pratica dei soli tagli. Il rigore non è un argine al contagio, come sappiamo bene noi italiani, che ci ritroviamo nell’occhio del ciclone pur avendo un bilancio pubblico in avanzo primario. Arrivano al pettine due nodi ineludibili: 1. il problema è collettivo, ma non c’è una collettività europea in grado di reagire; 2. la radice sta in debolezze dei singoli debiti pubblici nazionali, ma la speculazione rende impossibili politiche di rientro. Con questi nodi dobbiamo fare i conti.
Il nostro è un Paese fazioso, macerato da diciannove anni di giustizialismo e di contrapposizioni esasperate, con una classe dirigente (non solo politica) ridotta ai minimi termini, pronta a usare qualsiasi arma per vicendevoli annientamenti. Tale condizione c’impedisce di vedere che il problema è solo secondariamente nostro. Quando il presidente del Consiglio afferma che non ci sono soldi per lo sviluppo, ma neanche c’è fretta, dimostra di non avere né consapevolezza dei problemi né padronanza degli strumenti per affrontarli: la crisi non si affronta con la spesa pubblica, mentre le riforme strutturali, capaci di liberare le energie produttive, non sono urgenti, sono in drammatico ritardo. Eppure la classe dirigente non offre alternative a tale cecità. Nel mentre ci si balocca con il discredito non sorge all’orizzonte alcun programma capace di parlare la lingua delle necessità e dei mercati, non c’è un’opposizione anche solo lontanamente credibile, né ha senso votarsi alla speranza salvifica di governi tecnici. Qualora qualcuno avesse dei dubbi abbia la cortesia di rileggere le dichiarazioni altolocate sulle manifestazioni della settimana scorsa, ove la gara era a chi si dimostrava più comprensivo, vale a dire chi è il più vigliacco e incapace di dire che quei movimenti hanno torto e quelle richieste non sono assecondabili.
Ma la nostra indeterminazione interna, la nostra inadeguatezza politica è solo una tessera del mosaico. Non la più interessante. A chi rimprovera la debolezza politica del governo la maggioranza di centro destra potrebbe essere tentata di rispondere: abbiamo appena vinto le elezioni in Molise, nel mentre il principale partito d’opposizione si squaglia. Ove cedesse alla tentazione meriterebbe una salva di fischi e pernacchie, ma è anche vero che il governo tedesco le elezioni non le vince neanche nel loro Molise.
Domenica prossima si terrà un vertice europeo, in vista del quale francesi e tedeschi sembrano avere raggiunto un accordo per il potenziamento dell’Efsf (European Financial Stability Facility). La signora Merkel ne dubitava, ancora martedì, chiamando così l’attacco speculativo contro la Francia. E’ molto, ma non è abbastanza. Non basterà salvare le banche, si devono salvare i debitori e si deve chiudere la fessura in cui il piede di porco dei mercati s’è piantato. Ciò si può ottenerlo solo e soltanto dimostrando che l’Europa cambia gioco, copre i debiti nazionali ed emette titoli del debito pubblico unitari per finanziare la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo. Fin qui francesi e tedeschi hanno provato ad assecondare i loro egoismi nazionali, sperando che la bufera passasse prima di esserne danneggiati. E’ stata un’illusione, che vedemmo e denunciammo.
La nostra classe dirigente è mal messa (il nostro governo avrebbe dovuto prendere l’iniziativa nei confronti dei partners europei, per puntare il dito sull’euro prima che lo puntassero su di noi), ma quel che i governi europei esprimono, fin qui, non ha un aspetto significativamente migliore. Se non vogliamo cedere all’idea che si possa mettere il pilota automatico nelle mani della Bce, che sarebbe l’ultimo e più tragico degli errori, si deve ammettere che senza maggiore integrazione politica l’Unione europea si sbriciola. Abbiamo dalla nostra interessi internazionali, che sarebbero danneggiati dall’implosione europea, ma abbiamo contro di noi miopie nazionali che credono ancora alla politica dei tagli e dell’asfissia (altrui). La fretta c’è, pure tanta. La mezzanotte scocca domenica, dopo di che la carrozza diventerà una zucca.