Economia

Occhio bovino

Occhio bovino

Basta un dato per capire che non si tratta di una piccola bega nazionale: l’80% delle multe europee, per lo sfondamento delle quote latte, è affibbiato all’Italia. Noi, però, non cerchiamo di rimediare, non cerchiamo di risolvere il problema, ma ci tiriamo dietro le multe dando il manzoniano spettacolo dei capponi di Renzo, che si beccavano fra di loro mentre andavano, afferrati per le zampe, verso la pentola.

Leggendo le cronache di questi giorni si potrebbe avere l’impressione che si tratti di una novità. Di un imprevisto con cui fare i conti. La regolamentazione europea delle quote latte, invece, è stata introdotta nel 1984, poi aggiornata nel 1992 e, infine, fissata nel 2003. Nulla di nuovo, quindi. Le “quote” servono a disincentivare la produzione, pur non proibendola. In pratica quando un caseificio acquista il latte deve tenere un registro relativo a ciascun fornitore, cui corrisponde una specifica quota, superata la quale può ancora sia produrre che vendere, ma applicandosi una penale. Tale penale, se pagata, rende economicamente non conveniente la produzione. Si può discutere se il sistema abbia un senso, se la programmazione delle mucche sia fra le finalità precipue dell’Unione Europea, senza dimenticare, però, che la politica agricola comune è una imponente fonte di finanziamento dell’agricoltura europea, non a caso contestata dai concorrenti esterni (esempio: diciamo di volere aiutare i paesi in via di sviluppo, ma, in realtà, finanziamo gli agricoltori europei per metterli fuori mercato, con gran gioia delle multinazionali). Ripeto, si può discutere, anzi si dovrebbe, ma quello che non si può fare è restare dentro l’Unione, non contestare il sistema delle quote latte e, al tempo stesso, violarlo senza volere pagare. Non ha senso.

Come non ha senso che noi si mandi un ministro delle politiche agricole (dell’“agricoltura” era più breve e serio, ma fu abrogato per referendum e per aggirare il voto degli italiani ha … cambiato nome) a Bruxelles a rappresentare una posizione, di rispetto verso le regole europee, che non si sa più se ha il consenso dell’intero governo. Nel mentre si accende un conflitto politico, con i leghisti dalla parte degli allevatori che violano le quote, come se dipendesse da noi italiani stabilire se intendiamo pagare le multe o no. Le cose stanno diversamente, perché l’unica scelta che abbiamo è la seguente: o le multe le pagano gli allevatori responsabili, ciascuno per la parte di sua spettanza, oppure le pagano i contribuenti tutti, compresi quelli allergici al latte.

Se gli allevatori fuori quota risiedessero in Campania o in Calabria, state sicuri che la versione dei fatti sarebbe una sola: i soliti meridionali che non rispettano le leggi e che, una volta scoperti, vogliono che sia lo Stato, quindi le casse pubbliche, a pagare per i loro errori, continuando a chiedere proroghe, quando non condoni. Invece sono residenti al Nord, quindi non pagare le multe somiglia, nella verde fantasia di certi politici, ad una specie di lotta di liberazione dalla sopraffazione del potere.

Facendone una questione di schieramenti, inoltre, si perde la visione del problema. Contingentare una produzione significa distorcere il mercato (il quale assorbe il latte finché serve e il produttore si regola di conseguenza), ma quello agricolo, come detto, è già distorto dalle sovvenzioni. Si potrebbe chiedere di cancellare sia le multe che le sovvenzioni, ma non credo affatto che agli agricoltori convenga. Pensare, però, di tenersi le seconde e rifiutare le prime non è difficile, è semplicemente sciocco. Essere i principali protagonisti, in Europa, delle violazioni significa non avere il senso della realtà. Continuare, anno dopo anno, a cadere sempre nello stesso errore significa che togliere il peso delle multe dalle tasche di chi le provoca serve solo ad accrescerne l’ammontare nel tempo.

Se esistesse un Parlamento si potrebbe anche farne la sede di un apposto dibattito, che, invece, temo si svolgerà fra trattori e piazzate, con tanta parte della politica che, pur di non scoprirsi, preferirà fare l’occhio bovino.

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