E’ stata salutata da tutti come una ventata di aria fresca e nuova, a noi, invece, l’OPA posdatata parve subito una stranezza. La sorte di un’azienda come Telecom Italia è oggi legata a quella stranezza.
La prima stramberia è che si tratta di un’OPA che esiste solo sui mezzi di comunicazione. Per lunghissime settimane la Consob ha potuto saperne quanto un comune lettore di giornali. Come se non bastasse i lanciatori dell’OPA sono stati sorpresi a vendere azioni Telecom di nascosto, che è un fatto gravissimo, capace, da solo, di togliere serietà a qualsiasi loro proposta.
Sull’altro fronte, quello dell’attuale dirigenza di Telecom Italia, si è stati al giuoco facendo finta che l’OPA esistesse fin dall’inizio e si sono varate manovre difensive. Fra queste l’acquisto delle azioni TIM, ovvero un’operazione da logistica militare ma priva di ogni significato industriale o strategico. All’attuale dirigenza è poi mancato il supporto del ministero del Tesoro, chiuso in una pretesa neutralità. Già, ma chi ha nominato questo vertice?
Insomma, quella cui abbiamo fin qui assistito è solo una guerra di carta, scatenata con presupposti ancora immaginari, finanziata secondo i più vecchi e deprecabili sistemi della non trasparenza, priva, da ambo le parti, di un piano industriale degno di questo nome. Verrebbe voglia di dire che i contendenti erano d’accordo nel dimostrare che l’Italia manca ancora di autorità di controllo capaci di fare il loro mestiere. Altro che aria nuova, questo è un riflusso dallo scantinato.
Detto questo, contrariamente a quel che i contendenti vanno dicendo, per Telecom Italia si apre il seguente bivio: a) rimanere isolata e rinsecchirsi in un mercato nazionale che sarà sempre più aggredito dalla concorrenza; b) trovare un partner internazionale che ne valorizzi il patrimonio e le offra una cultura di mercato.
Lasciamo perdere i “cavalieri bianchi”. Qui non arrivano i nostri, qui abbiamo fatto di tutto per favorire i loro.