Economia

Opa sull’Italia

Opa sull'Italia

Stanno creandosi le condizioni per lanciare un’opa sui gioielli italiani. Non è la prima volta che succede, abbiamo già subito rapine simili, e l’opa in questione non è, come non fu, un’offerta “pubblica” d’acquisto, ma “pressata”. Della serie: o la borsa o la vita.

Vogliamo ripeterci che la classe politica della prima Repubblica arrivò al 1992 corrotta e ripiegata su sé stessa? Diciamocelo, non è neanche metà della verità, ma è la versione più in voga. E sia. Ciò non toglie che le privatizzazioni, praticate immediatamente dopo, si fecero passare per moralizzazioni e sono state, invece, il più colossale prelievo di ricchezza della storia, a danno delle casse pubbliche e a beneficio di pochissime tasche private. Vogliamo dirci, adesso, che le zoccole nelle assemblee elettive e gli incapaci al governo sono uno sconcio? Diciamocelo, anche queste sono verità parziali, ma anche queste godono di gran successo. Ma attenti a non perdere il vero significato della storia: il mondo politico raso al suolo è funzionale ad una nuova scorribanda. Almeno questa volta evitiamo che i rapinati applaudano i borseggiatori.

Sono favorevole alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni. Ne scrivo in continuazione, prendendomela con chi le blocca. Ma mica abbiamo l’anello al naso! Quando sento parlare di Finmeccanica, Eni ed Enel so che si tratta degli ultimi grossi soggetti italiani, gli unici ad avere un ruolo nel mondo. Vendendoli incasseremmo i soldi per far calare il debito? No, ci saremmo mangiati il reddito futuro, a tutto beneficio dell’acquirente. Quando si vende si cerca di liberarsi di ciò che non rende, o che non si riesce a far rendere quanto dovrebbe, o che crea mercato, facendo crescere la ricchezza collettiva. Si vende ciò che l’acquirente saprà ristrutturare e rilanciare, non quello che gli permetterà di campare di rendita, alle spalle del venditore.

Mi toccò, da seguace delle privatizzazioni, raccontare la pessima privatizzazione di Telecom Italia. Si trasformò una multinazionale sana in un bidone indebitato. Avevamo una rete all’avanguardia, ne abbiamo una vecchia. Un furto eseguito con la sfacciataggine di un trasloco. A cura di una classe politica “nuova”, con presunzione di competenza, ma di rarissima incapacità o di notevole disonestà. Scelgano. Mi piace scrivere libri, ma anche cambiare argomento.

Nei giorni in cui l’Italia finisce sotto attacco e il suo mondo politico è tarlato da pochezza e ricatti incrociati, la mente non può non andare a quei primi anni novanta. Il mondo è cambiato, però. Un esempio: la gran parte delle intermediazioni succose furono, allora, a beneficio della finanza statunitense e degli amici europei, i quali furono grati ai volenterosi aiutanti italici, oggi, con mercati globalizzati, che si fa se l’Eni interessa ai russi? Andiamo avanti facendo dire a qualche militonto che ha imparato due vocaboli, “mercato” e “liberale”, che va bene così, sol perché qualche amico fa il rappresentante degli interessi francesi sulle municipalizzate che distribuiscono energia? Negli anni novanta questa genia fu trovata fra gli ex comunisti, pronti a tutto per dimostrarsi l’opposto di quel che erano. Oggi, a chi ci si rivolge, per offrirgli il ruolo di palo?

Lo so: i “tecnici”. Uno lo abbiamo mandato alla Bce e non ha neanche fatto a tempo ad uscirne che già straparla di banche italiane. I tecnici sono una bufala, anche perché si vendono in proprio.

Non ha senso prendersela con quelli che proveranno nuovamente l’offerta pressata, inducendoci a consegnare loro quel che vale, e neanche ha senso pensare ci sia una specie di complotto internazionale. E’ più semplice: quando un Paese non ha una classe dirigente degna il mercato cerca di portargli via quel che ritiene utile. Noi abbiamo una sinistra che si batte contro la gestione privata dell’acqua, ma è disposta a collaborare ancora con la premiata ditta della rapina (con qualche compagno assicuratore e cooperatore pronto a far fessi i propri capi, che giocano al piccolo mercatista), ed abbiamo una destra autoconsunta dall’assenza di idee e dal sovrabbondare di costumi disdicevoli. Troppo forte la tentazione d’indurre questo gregge, zoppo e impaurito, a farsi tosare, tirandosi dietro un elettorato cui si racconta che poteva andare peggio. Noi, pecore nere, siamo pronte a pagare il prezzo d’essere ancora fuori dal coro. E’ la natura che ci ha fatte così.

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