Non è colpa del governo se piove, il problema si pone quando anziché ombrelli si distribuiscono costumi da bagno. Alla faccia della ripresa, attesa e promessa, l’impressione è che chiuderemo il 2013 con una recessione superiore a quella prevista. Ciò perché le conseguenze della lunga crisi, aggravate non solo dall’assenza di politiche anticongiunturali, ma addirittura da politiche fiscali a loro volta recessive, ha assunto le caratteristiche della valanga: avanza ingrossandosi e prendendo velocità. Fuori dalle impressioni ci sono i dati, e quelli dell’occupazione, riferiti al 2012, sono impressionanti: più di un milione di licenziamenti, con un aumento, rispetto al 2011, del 14%.
E’ pericoloso restare inerti. Delle cose si possono fare. Si devono fare. Ma è qui che indigna la distribuzione dei costumi da bagno. E mi riferisco al tema dei pagamenti dovuti dalla pubblica amministrazione, verso fornitori privati. Mario Monti ha ragione quando avverte che fra le forze politiche che lo criticano ci sono quelli che hanno creato il problema. Ma se dopo un anno e mezzo non c’è l’ombra di una soluzione, anzi si presenta un vero e proprio imbroglio, allora ciò depone contro la benché minima utilità dei tecnici al governo. Anzi, essi falliscono proprio sul piano tecnico, finendo prigionieri, esattamente come i politici loro predecessori, della Ragioneria generale dello Stato. Con una aggravante: al ministero dell’economia siede l’ex ragioniere generale, a dimostrazione che la macchina domina anche chi la guida, ove il pilota abbia meno forza e capacità dell’ingranaggio.
Dunque: tutti hanno annunciato che i pagamenti sono imminenti. Evviva. Se fosse vero. Quei pagamenti sono urgenti sotto due punti di vista: a. la credibilità e affidabilità dello Stato, che quando esige è severo e quando deve pagare è furfantescamente distratto; b. la possibilità d’immettere una botta di liquidità nel mercato, facendo circolare adrenalina in un corpo fiaccato. Il decreto approvato fallisce entrambe gli obbiettivi.
I debiti della Pa verso fornitori, escluso il settore sanitario, ammontano a circa 100 miliardi. Già quel “circa” è inquietante, giacché dovrebbe essere una cifra precisa, ove la contabilità fosse tenuta bene. Il decreto prevede che, se tutto va bene, saranno pagati 40 miliardi entro la fine del 2014. Ciò significa che il 60% si mette in coda per due anni. E questa sarebbe la velocizzazione?! Ma neanche i 40 sono veri, dato che non si fluidificano neanche i 14 già nelle casse dei debitori, lasciandone liberi solo 2,3. Per il resto partono adempimenti e procedure applicative che consegnano il problema al prossimo governo. Ove mai si riesca a farne uno. Questo significa che il decreto interviene urgentemente su una questione che s’intende risolvere senza nessuna urgenza. Inoltre centellinando il dovuto, quindi perdendo l’occasione di centrare sia l’obiettivo “a” che quello “b”.
Un governo di gente competente, invece, avrebbe dovuto dividere la questione in due parti. Da una si dialoga con la Commissione europea, facendo presente che: 1. altri Paesi hanno contabilità diverse dalla nostra, sicché anche l’ammontare del debito pubblico non è poi così abnorme, dalle nostre parti; 2. il nostro deficit è il più basso e il nostro avanzo primario il più alto fra i paesi Ocse. Quindi, posto che c’è anche una direttiva europea che impone di pagare i fornitori in 30 giorni, vedano di non rompere troppo l’anima.
Dall’altra parte si modifica la nostra contabilità interna, s’impone un modello alle regioni, si evita che il fenomeno si riproduca in futuro e si toglie potere politico alla ragioneria. Se si rinuncia all’una e all’altra cosa si è solo esecutori piccini di volontà altrui. Distributori di costumi da bagno quando piove. Con un sistema dell’informazione che titola: finalmente quel che serve.
Pubblicato da Il Tempo