Lungi dall’essere risolta, come con compiacente frettolosità è stato scritto, la faccenda della rivalutazione della Banca d’Italia si complica. Per rendersene conto basta leggere la nota congiunta con cui la stessa Banca d’Italia e la Consob, cui si aggiunge l’Ivass, per le società assicurative, provano a rispondere al quesito loro rivolto dagli interessati: insomma, le mettiamo o no, nel bilancio del 2013, le quote rivalutate? Lungi dal rispondere sì o no, gli autorevoli vigilanti suggeriscono di: a. rispettare le leggi; b. attenersi ai principi contabili internazionali; c. spiegare bene quel che stanno facendo. Risposta imbarazzata e sfuggente, giacché sarebbe stato originale suggerissero di: 1. fregarsene delle leggi; 2. violare i principi contabili; 3. nascondere bene le prove del misfatto. Perché tutto questo capita?
Perché non sanno più che pesci prendere, mentre il tempo stringe. Far macchina indietro e ammettere che l’intera operazione della rivalutazione delle quote è stata un trionfo di superficialità e arroganza, è non solo difficile, perché ci perde la faccia sia la maggioranza parlamentare che la Banca d’Italia, ma anche perché significa dover rinunciare a poste di bilancio, ad attivi assai importanti. In qualche caso decisivi per l’equilibrio di banche e assicurazioni. Quindi si prova ad andare avanti. Ma la cosa è resa complicata dal fatto che le vigilanze europee hanno già segnalato la loro attenzione. Che è il preludio di possibili contestazioni. Posto che, comunque, sugli stress test, quindi sulla solidità delle banche italiane, fu la Banca centrale europea a porre la pietra tombale: la rivalutazione è come se non ci fosse. La furbata, insomma, è già stata diroccata.
Alle società che non sapevano come scrivere i bilanci, e volendosi escludere che ciascuno se lo faccia a piacer proprio, diverso dagli altri, sono state date indicazioni ipocrite. Il rispetto della legge serve a dire che il decreto “Imu-Banca d’Italia” fu vigente nel 2013 ed è stato convertito nel 2014, quindi autorizza l’iscrizione a bilancio già per l’anno in cui iniziò ad avere efficacia. Il rispetto dei principi contabili serve a favorire l’interpretazione (a mio avviso corretta) che ha dato il prof. Marchetti: quelle non sono le vecchie quote rivalutate, ma azioni nuove, ovviamente da iscrivere a bilancio (ed è proprio questa loro natura “nuova” a confermare le critiche qui fatte e bellamente ignorate). Mentre l’invocazione delle spiegazioni, da inserirsi nelle note integrative, servono a mettere le mani avanti: descrivete dettagliatamente il perché state facendo quel che noi stessi vi suggeriamo, perché così, un domani, ove mai ci trattassero tutti da imbroglioncelli che s’appropriarono privatamente di un patrimonio collettivo (il che comporta aiuti di Stato), almeno non si dirà che i bilanci sono falsi.
Questo è il capolavoro. Se il cielo li aiuta e la cosa passa di soppiatto, resterà solo l’irrimediabile danno arrecato agli italiani e alla storia della nostra banca centrale. Se, invece, li beccano con il sorcio in bocca sarà una benedizione per le banche di altri paesi europei, assai più scassate delle nostre, con buchi poderosi, ma protette con maggiore determinazione e competenza. Nonché minore propensione a pasticciare.
Pubblicato da Libero