La baruffa sugli immigrati che pagano le pensioni agli italiani rientra fra le pagine dell’eterna campagna elettorale. Stucchevole e insulsa. Ma anche profondamente diseducativa e disinformativa, perché induce chi fa e chi legge solo i titoli a supporre esistano due tesi: quella di chi sostiene che gli immigrati sono un costo a carico del contribuente e quella di chi ripone in loro ogni speranza per l’avvenire. Che sono due scemenze. Mentre si trascura ciò che meriterebbe ben più seria attenzione.
Circa la baruffa: non esistiamo “noi italiani” e “loro immigrati”, quando si parla di pensioni esistono solo i contribuenti, quelli che pagano i contributi previdenziali. Chiunque li paghi, indigeno o immigrato che si trova regolarmente al lavoro, sta finanziando le pensioni attualmente in pagamento, chiunque le percepisca (ovviamente italiani, per la quasi totalità). Non è un’opinione, ma una certezza.
Così come è una certezza che il saldo relativo ai lavoratori stranieri è attivo (data l’età media) e che il peso della spesa pensionistica continuerà a salire ancora per molti anni, per poi decrescere. Non in virtù di una magia, ma perché in quel futuro le pensioni non saranno che lontane parenti di quelle che oggi conosciamo. E per niente generose, ma basate su quel che si è effettivamente accantonato.
Gli effetti della denatalità sono inaggirabili. Oggi 1 italiano su 5 ha più di 65 anni, nel 2035 saranno 3. L’intero sistema di welfare ne uscirà profondamente trasformato. Supporre che si possa non tenerne conto è da saltimbanchi. Immaginare che si possa rimediare mediante nuovi immigrati significherebbe farne entrare milioni. Il che è piuttosto distante dal dibattito odierno. Punto, il resto sono colorite perdite di tempo.
Piuttosto: è stata promessa una radicale riforma della legge Fornero, che mette in sicurezza i conti pensionistici futuri, è lecito sapere in che consiste? A seconda delle varie formule si va da un costo di 20 a uno di 5 miliardi l’anno.
Alberto Brambilla, che guida Itinerari previdenziali, conosce la materia ed è vicino alla Lega, sostiene che si tratta di uno scarto eccessivo. Ha ragione, ma mica si sono tirati i dadi e i dati, è che non si sa di cosa stiamo parlando. Dice lo stesso Brambilla che il costo può essere di 5 miliardi, oneroso ma abbordabile, se in pensione ci si potrà andare comunque non prima di 64 anni. E se, aggiunge, si abolisce l’Ape sociale, ovvero l’agevolazione per chi voglia anticipare.
Mettiamo questi conti siano esatti, come già osservai quando il ragionamento venne fatto: è praticabile. Ma non è come dire che abolendo la Fornero si va in pensione prima prendendo di più. Semmai il contrario, visto che l’età media di pensionamento effettivo, attualmente, è di 62 anni.
Glielo si dice, agli interessati, gli si comunica la fine delle agevolazioni e l’età non derogabile, oppure continuiamo a baloccarci con assurdità propagandistiche? Questo, in fondo, è il nocciolo. Se fosse possibile parlare di un testo, anziché a vanvera, non sarebbe male.
DG, 6 luglio 2018