Economia

Pensioni sotto i ponti

Pensioni sotto i ponti

Piantiamola di smanacciare il sistema pensionistico, anche a botte di ponti e scivoli. Smettiamola di stangare per poi illudere e illudere per poi stangare. La confusione che si genera ha effetti negativi che superano i tagli effettuati, ingenerando il terrore che deriva da una certezza: chi governa non sa quel che sta facendo.

Si vuole riformare la pubblica amministrazione aprendo la valvola del prepensionamento. E se si può supporre che il ministro Marianna Madia sia finita nelle grinfie dei volponi ministeriali (e sindacali) è da annettere alla disperazione la tesi esposta dal ministro del lavoro, Poletti: a chi rimane disoccupato ad un anno un anno e mezzo dalla pensione offriamo un ponte, per accedervi direttamente. E quando lo facessimo, non si creerebbero altri disoccupati a un anno un anno e mezzo dal ponte? E quando li coprissimo, non si creerebbe un’altra fascia, sempre più giovane, di esclusi per poco? E’ un gioco pazzotico, che si prende gioco di chi è in difficoltà.

In passato abbiamo regalato pensioni a tutti, dagli invalidi atletici ai vecchi cinquantenni. Tali regalie ci hanno portato nell’inferno del cuneo fiscale, talché a una minoranza di italiani che lavora tocca mantenere la maggioranza che non fa nulla. Accortici che il sistema era non solo squilibrato, ma insostenibile perché non compensabile con la fiscalità generale, quindi con nuovo e maggiore debito pubblico, è cominciata la lunga manovra di rientro. Si cominciò con la riforma Dini, che scatenò le proteste di piazza contro il primo governo Berlusconi. Venti anni fa. Si lavorò a far crescere l’età pensionabile, perché dovevamo dimostrare la sostenibilità del debito. Con degli inciampi: quando fu stabilito lo “scalone” (ministro del lavoro Maroni) ci furono altre proteste e fu poi il governo Prodi a cancellarlo, mettendolo in conto ai co.co.co. Alla faccia dell’equità. Ma poi si riprese a sistemare i numeri, fino alla riforma Fornero, che hanno votato tutti. E’ stata una mancia lunga. Per molti aspetti giusta, per altri dolorosa.

Ora che la crisi morde è stupefacente sentire ministri che esplicitamente propongono di tornare indietro. E lo fanno perché praticano un trucco: adottano ammortizzatori sociali a effetto immediato, ma a costo spostato avanti nel tempo. Che è esattamente la ricetta grazie alla quale una delle economie più forti del mondo, un paese con avanzi primari record e capacità d’esportazione imponente, si ritrova sempre sul banco degli accusati per il suo eccessivo debito pubblico. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di prenderci in giro con i prepensionamenti.

Il cui effetto sostanziale, inoltre, consiste nel trasferire ricchezza verso chi non ne produce. La formula magica della miseria. Certo che le tensioni sono forti e i problemi difficili, ma quella non è la soluzione. Sono mesi che andiamo ripetendo che la calma dei mercati è apparente, mentre la medicina fornita dalla Bce è un sintomatico, che sfebbra ma non cura. Abbiamo parlato al muro. La Spagna ha una crescita alta (nella media Ue) perché ha preso gli aiuti e sfondato il deficit (cosa che poteva fare proprio perché s’è messa al riparo), ma ha anche un vantaggio politico: nel pieno della bufera non scelse di affidarsi a presunti tecnici, ma andò al voto anticipato ed elesse un governo, ancora in carica, con l’esplicito mandato delle riforme e dei tagli alla spesa. Era la ricetta che proponevamo anche per l’Italia. Invece siamo al terzo governo senza mandato elettorale e le riforme sono ancora da venire, mentre i tagli sono stati sostituiti dalla tassazione.

Ci sono problemi evidentissimi legati all’euro e alla sua governance, ma noi italiani, che abbiamo scucito 54 miliardi per aiutare gli altri, contiamo sempre meno perché abbiamo governi incapaci di superare la paralisi interna. I prepensionamenti non sbloccano un bel niente, ma mettono il paralitico su una sedia a rotelle. Che si trova di fronte a una ripida discesa, manca di freni e chi dovrebbe assisterlo è occupato a dir corbellerie per prenderne il voto.

Pubblicato da Libero

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